Capitolo 10
Nabir era intirizzito dal freddo che era arrivato, inaspettato e in anticipo, ma non lo rendeva meno entusiasta del proprio lavoro. Aveva le mani sporche di terra e desiderava una bevanda calda, tuttavia aveva svolto tutti i compiti assegnatigli da Sivar. Le aiuole erano coperte, ora, e lo sarebbero state fino alla stagione del risveglio. Sivar gli aveva spiegato che avrebbero tolto le stoffe leggere prima che iniziasse, per dar modo alla terra di inumidirsi con le piogge tipiche di quel tempo e aiutare le piante a rinforzarsi. Il giardino interno era ben protetto, il gelo tardivo non avrebbe intaccato i cespugli.
Entrò in casa dalla porta di servizio, così da raggiungere la cucina e potersi lavare le mani e bere qualcosa di caldo. Myrrin teneva pronta sul focolare una pentola di acqua bollente che sarebbe servita allo scopo. Gli infusi sembravano essere la sua specialità.
Quando varcò l’uscio della cucina, si sentì avvolto da un calore gradito e da un profumo che non aveva niente a che fare con il cibo, e neanche con Myrrin. Conosceva quel profumo, così bene da sentirlo persino in sogno.
Vide la persona seduta al grande tavolo e si arrestò appena oltrepassata la porta, sorpreso e travolto da un’ondata di piacere, subito scacciata da una di fastidio. Dopo tutti quei giorni, sapere che Gyllahesh era lì lo disorientava.
«Buongiorno, Nabir.»
Lui respirò. Si impose di farlo. Sentire quella voce gli mandava brividi lungo la schiena che non avevano niente a che fare con il freddo.
«Buongiorno, Gyllahesh.» Sbatté le palpebre, ma l’ombra rimase quello che era. Un’ombra, che ora si stava muovendo.
«Hai finito fuori?»
Nabir annuì. «Devo lavarmi le mani e chiedere a Myrrin se ha bisogno di aiuto.» Sembrava una giustificazione alle sue stesse orecchie. Non poteva permettersi di riposare, Gyllahesh l’aveva accolto in casa e lui non aveva molti modi per ripagare quella generosità.
«Myrrin è impegnato da qualche parte. Vuoi mangiare o bere qualcosa? Credo abbia detto che era tutto pronto.»
Lui abbassò la testa. Aveva desiderato tanto vederlo, quanto lo aveva temuto. Era stato tenuto a distanza, malgrado le rassicurazioni di Myrrin sulle costanti assenze del libero amante dovute ai suoi numerosi impegni.
«Sì, io… Volevo bere un infuso, prima di continuare.»
Gyllahesh si mosse e si avvicinò al focolare, senza dire una parola. Solo quando sentì il rumore del metallo sul tavolo, Nabir si rese conto che lo aveva servito. Gyllahesh glielo confermò un istante dopo.
«Lavati le mani e riposati un po’. Mi dispiace aver dato l’impressione di averti abbandonato, ma sono stato molto preso in questo periodo.»
Nabir fece un cenno d’assenso. Su gambe rigide, si avvicinò alla vasca e strinse la mano intorno alla leva che faceva scorrere l’acqua. In silenzio, si lavò le mani, ripensando a quanto gli aveva detto il suo benefattore. Si stava forse giustificando anche lui? Si asciugò veloce e si girò per andare a sedersi al tavolo. Il profumo della rosa canina lo avvolse, facendogli dimenticare per un momento quello di Gyllahesh.
«Grazie, ma avrei potuto-»
«Non mi costa niente, Nabir, e mi fa piacere. Voglio solo che tu stia bene.»
Lui represse uno sbuffo. Non era nelle condizioni di mostrarsi irriconoscente, benché fosse stato proprio Gyllahesh a volerlo accogliere in casa, per onorare quel presunto debito nei confronti di sua madre. Sitra… Per un istante, Nabir si sentì mancare: non aveva pensato molto a lei, in quei giorni, occupato com’era a cercare di adattarsi alla nuova sistemazione. Il suo destino qual era stato? Era in pericolo? Era… morta? Il senso di vuoto che percepiva dentro di sé lo faceva sospettare di sì. Se fosse stata ancora viva, e nascosta, avrebbe cercato in tutti i modi di mettersi in contatto con lui. Oppure no, per non accrescere il pericolo.
«Lo so, e te ne sono grato, per tutto quello che hai fatto per me. Non molti si sarebbero presi in casa una persona di cui non sapevano niente.»
Gyllahesh rise piano. «Oh, ma io ti conoscevo, attraverso le parole di Sitra. Mi aveva raccontato di te, di Selia. Non mi aveva detto molto, soprattutto dei tuoi occhi, ma qualcosa sì. È per questo che sono giunto al villaggio.»
Nabir strinse le mani intorno alla tazza di metallo, il calore che faceva scorrere il sangue più veloce. «Quindi tu sapevi che lei-» Si interruppe. Dirlo avrebbe potuto sembrare offensivo, ma Gyllahesh era un libero amante, qualunque donna che avrebbe potuto permetterselo avrebbe potuto richiedere i suoi servigi. Così come parlare dopo l’amplesso. Lo aveva sentito, quando la sua sijia l’aveva interrogato, il giorno che era giunto da loro. Aveva capito che ciò che sapeva l’uomo lo doveva a una delle guerriere che sua madre detestava.
«Che lei?»
«Che lei era morta?» finì, alzando la testa.
Il volto dell’uomo sedutogli di fronte era bianco, velato dalla nebbia che gli ricopriva gli occhi. La macchia scura dei suoi capelli era un piacevole diversivo a quel candore inquietante che lo accompagnava giorno dopo giorno. La sua vista peggiorava sempre di più, se ne rendeva conto, ma non poteva farci niente, se non rassegnarsi all’inevitabile.
«No, benché speri che non sia così. Non so cosa sia successo, a chi si sia rivolta o chi l’abbia assoldata, ma non è niente di buono.»
«Lo so. Quando le guardie sono arrivate…» Nabir strinse le labbra, sentendo la familiare stretta al cuore, accompagnata dal groppo alla gola. Chinò la testa, trasse un respiro profondo e continuò. «Quando le guardie sono arrivate, ho capito che non l’avrei più rivista.» Rise della propria battuta, in maniera aspra e per niente piacevole, ma stava rischiando di scoppiare a piangere, e non voleva umiliarsi di fronte a Gyllahesh. Già la sua virilità era compromessa dall’aspetto che la Madre Alcheria gli aveva donato, se avesse dato un’ulteriore prova di debolezza si sarebbe sentito morire.
«Mi dispiace tanto, Nabir.»
«Di cosa? Non è colpa tua. Posso solo ringraziarti per avermi permesso di vivere qui, senza continuare a essere un peso per la mia sijia.» Bevve l’ultimo sorso della bevanda, ormai tiepida, e si alzò. «Devo cercare Myrrin.»
«Puoi farlo dopo.» Gyllahesh si alzò con lui. «C’era un’altra cosa che volevo dirti: domani verrai al mercato con me. Devo acquistare delle stoffe, e c’è una mercante che proviene da sud, dalla mia regione di origine, che ne ha di splendide. Vorrei poterti far vedere la città, ma temo che potrai solo ascoltare. Almeno sarà un piccolo cambiamento.»
Avrebbe dovuto rifiutare? Nabir se lo chiese. Gyllahesh aveva già deciso per lui, e un fremito di terrore lo attraversò. Temeva la gente, il suo giudizio, soprattutto quando si accorgeva della sua inferiorità. Era un uomo senza averne l’aspetto, ed era quasi cieco. Un essere del tutto inutile.
«È un ordine?» chiese a denti stretti, sforzandosi di non far trasparire il disagio.
«Un ordine? Certo che no. Volevo solo farti uscire di casa per un po’. Myrrin mi ha detto che hai lavorato molto in questi giorni, ti meriti una pausa.»
Come avrebbe voluto vederlo, in quel momento. Scorgere la sincerità nei suoi occhi, che andasse a confermare quella che udiva nella sua voce. Avrebbe voluto vederlo… e non solo per quello. Il calore lo investì, e Nabir benedisse il fatto che i calzoni fossero larghi a sufficienza da nascondere una parte del suo corpo che sarebbe stato imbarazzante mostrare. Era già imbarazzante quando, al mattino presto, si svegliava dopo un sogno sull’uomo che gli stava di fronte, a cui il suo corpo reagiva in maniera del tutto inappropriata.
«Io… va bene, allora. Sono curioso di vedere – ascoltare – la città. E il mercato.»
Il sorriso nella voce di Gyllahesh lo riscaldò ancora di più. «Ne sono felice. Vai a cercare Myrrin, forse oggi potremo pranzare tutti insieme.»
La sorpresa lo rallegrò, più di quanto pensasse. Non era mai successo, negli ultimi tempi, che si ritrovassero insieme. Quel giorno doveva essere un regalo della Madre Alcheria… o il preludio gioioso prima di giorni tristi. Nabir sperò di no.
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