La vita non è stata facile, per Tyrone Vidal. L’infanzia e l’adolescenza con un padre autoritario e violento lo hanno provato e reso insicuro, ostacolando le sue naturali inclinazioni. Solo il matrimonio con Sandy e la nascita della loro bambina Janet sembra restituirgli un po’ di serenità, almeno finché non si imbatte in Richard Ford. Il giornalista freelance rivoluziona tutta la sua vita, lo riporta alla sua vera essenza e lo sprona a credere in se stesso e in ciò che è realmente. L’attrazione che Tyrone prova per lui impiega un battito di ciglia a diventare amore e neanche il richiamo del suo matrimonio sembra essere sufficiente a minare il forte sentimento che lo lega a Ford.
Ma la mente gioca brutti scherzi, e se per tutti questa è una mera constatazione, per lui diventa un futuro scritto quando arriva la notizia di una malattia che, in maniera lenta e subdola, sta iniziando a minare il suo corpo e i suoi ricordi.
Eppure la realtà, come spesso accade, supera qualsiasi prospettiva e se il passato comincia a diventare sfocato, un grande amore può diventare l’unico faro da tener presente per navigare a vista. E respirare davvero come non si è mai fatto.
Ci sono storie che nascono in fretta, in un lampo. C’è l’idea, ci si dorme una notte sopra e tac: al mattino successivo tutto è chiaro, in ordine, predisposto. I personaggi parlano e tu, che sei il loro tramite – si dice – scrivi, narri.
Ma non tutte le storie sono così, non tutti i personaggi sono semplici da decifrare e delineare. Ci sono romanzi che impiegano anni per sedimentarsi, per prendere forma e senso. Ci sono romanzi, addirittura, che richiedono un lavoro interiore, un cambio di rotta, una rivoluzione copernicana.
Questo è ciò che è accaduto a me, proprio questo. E sono diventata C. K. Harp pur di dar vita a questo romanzo e a tanti altri che cercavano una chiave diversa da quella che finora ho utilizzato.
“Sono solo un ricordo” è nato quattro anni fa, nella sala della nuova casa da scapolo di mio nonno. Scapolo per forza, mia nonna era già andata via pochi anni prima, lasciandolo distrutto e desideroso di seguirla a breve. E in preda al Parkinson e alla demenza che galoppava neanche fosse un purosangue.
La storia di Ty e Richard non esisteva, allora, così come non esisteva del tutto la mia passione per la letteratura LGBT, ma c’era l’idea. Perché odiavo il fatto di non riconoscere più quella persona che giocava a carte con me sul tavolo dopo pranzo. Odiavo non ritrovare il suo cipiglio burbero. Mi spiazzava il fatto che mi chiedesse di tenergli la mano prima di dormire, o che fossimo io e mia madre ad accudirlo. O mia zia, o il badante… Mi divertiva quando lo sentivo “sbroccare” all’improvviso, lo ammetto, perché era una cosa talmente surreale che guardavo mia madre e non potevo fare a meno di ridacchiare. Si ride, a volte, quando non si riesce a spiegare la realtà…
Come quella volta in cui si girò e chiese a mia madre: “Te ricordi quanno annavamo a cercà l’oro a Villa Gordiani? C’avevo 5 anni e te me tenevi la mano”.
In quel periodo mi chiedevo spesso quanto fosse presente in lui la malattia, quanto invece la lucidità di sapersi infermo. Pensava al suo grande amore? Ripensava ai giorni in cui aveva incontrato mia nonna alla fontanella e aveva sentito “quer friccico ner core”?
L’idea, ripeto, c’era, ma la capacità di svilupparla, farne qualcosa di diverso da un racconto, no. E intanto riflettevo, vivevo, vedevo le parole sfumare e lo sguardo di mio nonno farsi più vacuo. Era la vita, ma era la prima volta che mi soffermavo a chiedermi come operasse fino in fondo.
Poi di Spartaco e Rosa non è rimasto che il ricordo, la forza, l’amore. Soprattutto l’amore, l’uno per l’altra. Per me è sempre stato impossibile pensare a uno senza considerare l’altra. Così continua a essere ancora adesso.
Volevo testimoniare quel sentimento, quel legame che valicava tempo e spazio, ma ero frustrata perché non trovavo la giusta chiave di lettura per interpretare il bisogno che sentivo dentro.
Sono passati anni, il pensiero è rimasto, ma le necessità di scrittura sono mutate, si sono piegate, hanno seguito linee a volte diverse da quelle che volevo. Insomma, sono andata avanti col tarlo che mi rodeva il cervello.
Poi ho scoperto la letteratura LGBT, le grandi storie d’amore tra uomini e tra donne, e in un colpo solo mi si è aperto un mondo. E la trama.
Ma non ero pronta, non ancora. Avevo bisogno di maturare, non potevo improvvisare. In fondo venivo da realtà completamente diverse, dove l’amore era amore, certo, ma stracolmo di cliché che mi andavano stretti e limitavano. Così ho iniziato a scrivere altro, è nato C.K.Harp, ho dato sfogo alla vena thriller che mi aveva sempre pungolata, ho preso una pausa.
Ho preso una pausa: lunga. Sono giunta sulla soglia della grande distribuzione, c’è una R, ora, sul mio curriculum, che non rinnego e che mi ha aperto porte insospettabili, ma… Ma non è quello che voglio. Ovvero, non come lo voglio.
E proprio da questa consapevolezza è nato “Sono solo un ricordo”, hanno preso forma Ty e Richard, si è sviluppata la loro storia, la loro unione.
Ho narrato l’amore, ma anche la vita, le sue complicanze, i suoi risvolti non sempre piacevoli, perché come cantava Mariella “Così è la vita, che ci sospende, con i suoi fili inconfondibili, il suo cuore palpitante, e il nostro sangue che si rapprende”.
La vita non è solo una fiaba rosa in cui immergersi, per quanto risulti bellissimo – anche per me – perdersi a volte in risvolti privi di drammi e pianti. Nella realtà c’è sempre un “ma”, e trovo che l’amore, quello vero, passi per sfide e colpi da sopportare e superare, e che non conosca colori o generi d’appartenenza, solo strade. Strade parallele che ogni tanto, per volere di qualcosa o qualcuno, si raccordano e uniscono.
OoO
Titolo: Sono solo un ricordo.
Autore: C.K.Harp.
Data di uscita: 5 settembre 2016 (già prenotatile su Amazon).
Pagine: 250 ca.
Editore: Self Publishing.
Formato: ebook – cartaceo.
Prezzo ebook: E.4.99.
Prezzo cartaceo: prossimamente.
C.K. Harp è uno pseudonimo. Di una donna? Di un uomo? Non è un segreto, se cercate bene non è affatto difficile capirlo. Eppure non è importante. Perché C.K.Harp è comunque un’identità ben definita, il lato oscuro di una persona che, arrivata sulla soglia della grande distribuzione, ha deciso di mollare tutto e ricominciare dal principio facendo ciò che ama. Senza costrizioni, limitazioni, paletti di sorta. Senza correre il rischio di essere snaturata. Scrivere è una vocazione, trovare il proprio genere d’appartenenza un lusso.
E divertirsi ed emozionarsi, poi, la chiave che consente di andare avanti senza scendere a patti con la moda o i cliché.
C.K.Harp scrive LGBT, thriller in chiave omosessuale senza distinzioni tra donne e uomini. Perché siamo persone, prima che sessi.
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