Caro d(i)ario,

tempo fa ho aperto Facebook per cazzeggiare un po’ e, mentre lo sguardo scorreva leggero e distratto sui post nella home, mi si è bloccato qualcosa in gola e il dito sul cellulare. Mi è infatti capitato davanti un post di un noto scrittore, che recitava testualmente così: “quelli che fanno un gruppo dedicato al proprio libro autopubblicato e ti ci iscrivono a forza meriterebbero una punizione speciale: qualcuno che legga quel libro e gli dica quanto fa schifo. Ma è un’impresa titanica, mi limito a disiscrivermi.

L’ho riletto più volte perché ero incredulo : come può infatti, un autore tanto celebrato, nonché con fama di essere stato un ‘alternativo’ e un ribelle, detestare così tanto l’autoproduzione?

Dopo l’iniziale istante di smarrimento, mi sono chiesto se non esagerassi. In fondo, anche a me dà fastidio che mi propinino a forza (spesso senza osservare le più banali regole dell’educazione) pubblicità di qualsivoglia tipo, da quella telefonica ai post sui social. Però un tarlo seguitava a rodermi nel cervello, il collegamento con l’autoproduzione letteraria non mi era proprio piaciuto.

E allora, caro d(i)ario, visto che solo a te posso dire queste cose senza scatenare un putiferio, sento il bisogno di sfogarmi e dire la mia su questa faccenda, senza peli sulla lingua.

Chi ha scritto quel post, non solo è di una supponenza irritante, ma evidentemente non si ricorda neppure da dove arriva: da quei centri sociali, dove trovava anche ospitalità, che anch’io ho conosciuto in gioventù (era più o meno lo stesso periodo). Quei posti, con pregi e difetti, erano il covo di idealisti che aborrivano l’idea di conformismo e di schiavitù del denaro, e favorivano in ogni modo l’attività musicale indipendente. Non so come si proponessero di fronte all’argomento letteratura, ma  sono certo che non avrebbero avuto nulla da dire sui testi autoprodotti.

Dov’è finito allora l’idealismo di quell’uomo? Si è dimenticato di tutta la sua gavetta? Di quanto è dura farsi spazio nella vita in generale, nell’ambito artistico in particolare?

Non lo so, mio caro d(i)ario, non riesco a capire perché se uno fa musica e si autoproduce gli dicono bravo, se lo fa uno che scrive viene dileggiato. Già, perché secondo quel post, si deduceva che il libro dell’autoprodotto fa schifo per forza, in quanto tale. Mi sento di dire una cosa, caro autore: ho motivo di ritenere che un bel numero di scrittori (e scrittrici) che oggi fanno la ruota con la coda perché pubblicano con questa o quella casa editrice, non valgono la maggior parte degli esordienti che ho letto. Pertanto, rispetti chi si dà da fare a prescindere dal risultato. Che poi, mi vien da dire, la cultura con la ‘c’ maiuscola, glielo garantisco, non ha bisogno (e non si serve) di disprezzo.