Lessi la serie Angelica di Anne e Serge Golon mentre ero al liceo alla fine degli anni Sessanta, quando la Garzanti la pubblicò in dodici volumetti in edizione economica. Furono i miei primi rosa “audaci”, per l’epoca, e quindi fondamentali nel mio sviluppo di lettrice.
Come le mie amiche di liceo, ero venuta su a pane e Delly più Werner, al massimo un po’ di Glyn, autrice abbastanza trasgressiva per gli anni Trenta, non certo all’epoca del Sessantotto. Quindi cosa ci catturò? Immagino innanzitutto le scene di sesso, allora per noi totalmente nuove, ma, a ripensarci, piuttosto moderate, intese a esprimere le sensazioni provate dalla protagonista senza entrare nei particolari, cosa che condizionò, credo per sempre, la mia sensibilità verso l’erotismo in letteratura.
I protagonisti erano fuori dal comune: Angelica, di famiglia nobile ma impoverita del Poitou, va sposa in un matrimonio per procura a Goffredo di Peyrac, conte di Tolosa, e scopre che il marito è zoppo e ha il viso sfregiato. Ma, nonostante l’inizio difficile, fra i due nascerà un grande amore, basato sulla passione fisica e anche sulle straordinarie doti umane, musicali e insieme scientifiche dell’uomo. Goffredo rappresenta, sullo sfondo dei primi anni del regno di Luigi XIV, l’antitesi rispetto alla cultura della controriforma con il suo amore per la scienza, il suo rifiuto del dogmatismo, la sua gioia di vivere e amare.
La vicenda sarà lunga, complessa e non priva di dolori atroci. Quando, alla fine del secondo volume, Goffredo viene condannato ad essere arso vivo in piazza di Grève come stregone, personalmente credevo che la loro storia si fosse conclusa e quindi accompagnai senza grande scandalo la protagonista nel suo processo di crescita attraverso vari legami, anche puramente fisici, dovuti spesso, ma non sempre, soprattutto alla necessità di sopravvivere, insieme ai suoi figli. Di lei mi piaceva molto l’intelligenza, sviluppatasi sotto l’influsso del marito, e l’ambizione imprenditoriale in continua lotta con lacci e laccioli risalenti al medioevo. Non è che sempre approvassi il suo comportamento, che poteva arrivare al compromesso e al ricatto, ma tendevo a giustificarlo. E come lei mi lasciai affascinare dalla corte di Versailles e perfino da Luigi XIV, che pure in certi momenti andava a svolgere nella serie la funzione del cattivo.
Dipendeva probabilmente dall’abilità dei Golon che approfondirono molto la figura del re, rappresentando le sue miserie, ma anche la sua grandezza, con un saldo che mi pare sostanzialmente positivo. E quando, molti anni dopo, sono stata finalmente a Parigi e Versailles, confesso che una certa influenza dei Golon la subivo ancora, nonostante le maggiori conoscenze acquisite nel frattempo.
La serie finiva, infatti, per essere un grande quadro storico dell’epoca con un punto di vista però filoborghese, grazie all’esaltazione di Colbert, e addirittura femminista, grazie al ritratto della protagonista, capace di rialzarsi anche dopo un gran numero di rovesci di fortuna e dopo numerosi stupri, fra cui quello terribile di gruppo durante la rivolta del Poitou.
In verità degli stupri subiti dalla protagonista e da altre donne si perde un po’ il conto nel corso della serie. E mi stupisco del fatto che all’epoca li assorbii facilmente, mentre oggi non riesco a sopportarli per nulla. Probabilmente accadde perché questi romanzi non erano dei romance e anzi davano l’impressione di essere più realistici (impressione in larga parte infondata). Ma, se scavo nella mia memoria, forse quello che mi scioccò di più fu lo stupro in un corridoio del Louvre ad opera del marchese di Vardes, il tipico villain in quella fase. Non per le sue modalità, perché era basato su un ricatto più che sulla violenza fisica vera e propria, ma perché lo scopo da raggiungere in quel caso non era tanto il possesso vero e proprio, ma costringere la vittima al piacere.
Ne parlammo a lungo fra amiche e, nella nostra ingenuità, discutemmo se una cosa simile fosse possibile. Confesso che tuttora la sola idea che la volontà di una donna possa essere manipolata fino a questo punto mi sconvolge profondamente.
Accanto a questo episodio rammento molto bene soprattutto quelli in cui l’attenzione si spostava sulla reazione di Angelica dopo la violenza, reazione che sottolinea come in questi casi l’obiettivo da perseguire non sia tanto il sesso, quanto l’umiliazione della vittima. E qui la protagonista riesce sempre, con maggiore o minore difficoltà, come una moderna Boudicca, a reagire con coraggio e magari pensare alla vendetta.
Quanto all’amore, dopo quello con Goffredo, Angelica riusciva a sposare (va bene, grazie ad un ricatto) il cugino Filippo del Plessis Bellières, violento, bellissimo e triste, che, lacerato fra l’amore per la moglie e la devozione verso il re, trovava il modo di togliersi di mezzo, andando incontro volontariamente alla morte in battaglia.
Del resto nel corso dei dodici volumetti la protagonista affrontava praticamente tutti gli aspetti e gli ambienti del Seicento, soprattutto dopo aver scoperto che in realtà Goffredo non era affatto morto (colpo di scena, lo ammetto, per nulla credibile né coerente con il resto della vicenda). Mentre cercava il marito per il Mediterraneo, ad Angelica succedeva di tutto, compreso di essere venduta al mercato degli schiavi di Candia, finendo poi nell’harem di Mulay Ismail, sovrano del Marocco, per fuggire e in successione tornare in Francia, capeggiare la rivolta del Poitou e poi mettersi in salvo prima facendo la domestica in casa di un mercante ugonotto a La Rochelle e poi, definitivamente, in America, grazie al nuovo incontro con il Rescator-Goffredo.
Riassumendo al volo la vicenda, mi rendo conto che era davvero complicata e romanzesca a dir poco. Ma certo noiosa non era.
Credo di aver letto almeno 3 libri (fregati a mia madre) e tutti i film. Ho un bel ricordo e, in effetti, più che romance la storia la ricordo come un’avventurona.
Veramente intrigante e esagerato!
Vorrei tanto leggere la saga di Angelica perché sono convinta che la storia con Jeoffrey non è così come è stata creata nei film
I film distorcono profondamente la vicenda e soprattutto la figura di Goffredo (ovviamente ai miei tempi il nome era stato tradotto in italiano).
Peyrac è una figura estremamente complessa. E questo nel film non compare per niente.