Gianluca Morozzi, nato a Bologna nel 1971, risiede a Bologna.

Ha pubblicato (escludendo i fumetti):

-con Guanda: “Blackout”, “L’era del porco”, “L’Emilia o la dura legge della musica”, “Colui che gli dei vogliono distruggere”, “Cicatrici”, “Chi non muore”, “Radiomorte”.

-con Fernandel: “Despero”, “Luglio, agosto, settembre nero”, “Dieci cose che ho fatto ma che non posso credere di aver fatto, però le ho fatte”, “Accecati dalla luce”, “L’abisso”, “Spargere il sale”, “Niente fiori per gli scrittori”, “L’amore ai tempi del telefono fisso”.

-con altri editori:  “Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen”,  “Nato per rincorrere”, “Il rosso e il blu” (Castelvecchi), “L’uomo fuco” (Felici), “Elogio di Federica la mano amica” (Pironti), “Forza Bologna- una vita in rosso e blu” (Perrone), “Mortimer blues”, “Storie da una terra scorticata” (Edizioni il Foglio), “Marlene in the sky” (Gallucci), “L’età dell’oro” (Italica).

-a quattro mani: “Lo scrittore deve morire” (Guanda, con Heman Zed), “Serena variabile” (Castelvecchi, con Elisa Genghini), “Le avventure di zio Savoldi” (Fernandel, con Paolo Alberti).

Premi vinti: Premio Writers per “Nato per rincorrere”. Premio Micheluzzi come miglior romanzo grafico per “Pandemonio”.   Ultime pubblicazioni: “Anche il fuoco ha paura di me” (Fernandel 2015), “Lo specchio nero” (Guanda 2015)

Prima domanda di rito: perché scrivere? Come è nata questa “necessità” e quando? Credo sia nata quando mio nonno mi regalò una macchina da scrivere e un manuale di dattilografia, tra i 12 e i 13 anni. Una volta imparato a scrivere a dieci dita, mi è venuto naturale scrivere dei raccontini di fantascienza come quelli che leggevo all’epoca, la fantascienza classica, tipo Asimov, o Clarke. Il primo racconto si chiamava Divoratore cosmico, e ricordo solo che era ambientato sul pianeta Nettuno. Da allora non ho più smesso.

Come scrivi? Penna e carta, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, ipad, iPhone? Tutto a video. Ho una scrittura talmente orribile che non capirei neppure i miei stessi appunti. Ho iniziato a scrivere i primi racconti a macchina, e poi sono passato al computer. A parte appunti volanti scritti in stampatello, uso le note dell’iPhone. Prima dell’iPhone, mi mandavo sms da solo con gli appunti stessi.

C’è un momento particolare nella giornata in cui prediligi scrivere i tuoi romanzi? Il pomeriggio. La mattina dormo, la sera esco… lo so che è poco poetico, ma il pomeriggio ha un gran numero di ore a disposizione per scrivere.

Che cosa significa per te scrivere? L’unica cosa che so fare bene, che per un fortunato caso è anche la cosa che più mi piace al mondo, che per un altro fortunato caso è la mia fonte di reddito.

Ami quello che scrivi, sempre, dopo che lo hai scritto? Lì per lì, sì. Poi col tempo alcune cose mi fanno pensare “certo che potevo farla meglio”.

Rileggi mai i tuoi libri, dopo che sono stati pubblicati?  Solo quando devo presentarli, come ripasso. O dopo molti anni, quando li ho messi un po’ a distanza.

Quanto c’è di autobiografico nel tuoi libri? Dipende dal libro… “Dieci cose che ho fatto ma che non posso credere di aver fatto, però le ho fatte”, o “Accecati dalla luce”, o “L’età dell’oro” erano autobiografici al novanta per cento. “Lo specchio nero” o “Radiomorte”, quasi zero… per fortuna.

Quando scrivi, ti diverti oppure soffri? Mi diverto, mi diverto. I momenti di sofferenza, in 14 anni, saranno stati due o tre.

Trovi che nel corso degli anni la tua scrittura sia cambiata? E se sì, in che modo? All’inizio era molto più punk e inconsapevole, naturalmente. Ho cominciato a padroneggiare fra il terzo e il quarto romanzo. E siccome sono molto curioso e uso i racconti come palestra per sperimentare nuovi stili, ora so scrivere in molte maniere differenti.

Come riesci a conciliare vita privata e vita creativa? Questo è il problema più grosso di tutti. Tipo, quando sei a cena con una fidanzata e ti viene in mente una bellissima idea che vorresti scrivere all’istante. E il finale è classico: la fidanzata, giustamente, si stufa e ti lascia.

Ti crea problemi nella vita quotidiana? Solo quando sono a metà di un capitolo importante e, non so, mi chiama mia madre per chiedermi se vado a prenderla in stazione, o mia sorella che è bloccata alla cassa di un supermercato col bancomat che non funziona per cui le serve soccorso. In quei momenti, ecco, mollare il capitolo mi secca un po’.

Come trovi il tempo per scrivere? Avendo fatto della scrittura la mia principale attività, a costo di qualche sacrificio iniziale, il tempo non mi manca mai.

Gli amici ti sostengono oppure ti guardano come se fossi un alieno? Gli amici hanno metabolizzato la cosa e questa mia attività, giustamente, la ignorano. All’inizio mi guardavano con quel leggero compatimento con cui un amico ti dice “sapete, il mio racconto non ha avuto la menzione al premio letterario Vasca dei Piranha, ma un giurato mi ha detto di sfuggita che gli è piaciuto”, oppure, più avanti, “sapete, l’editore mi ha detto che il mio romanzo uscirà in Simoncini Garamond, capite?, Simoncini Garamond!”. Poi mi hanno sostenuto quando le cose si sono fatte serie. Adesso, quando esco con gli amici non scrittori, di tutto parlo tranne che di quello. Cioè, io lo farei, ma sento che non è il caso.

Nello scrivere un romanzo, “navighi a vista”, oppure usi la “scrittura architettonica? Uso la scrittura Punto A e Punto Z: inizio un romanzo solo quando ho in mente l’inizio e la fine. Quel che c’è in mezzo, in qualche modo, arriva sempre.

Quando scrivi, lo fai con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure ti lasci trascinare dall’incostanza dell’ispirazione? Scrivo tutti i giorni da quando ho tredici anni.

Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: sei un lettore assiduo? Leggi tanto? Quanti libri all’anno? Ci mancherebbe. Ci vuole un genio per saper scrivere senza leggere, e io non lo sono di sicuro. Quanti libri  all’anno? Almeno cinquanta. Forse di più.

Quale è il genere letterario che prediligi? È lo stesso genere che scrivi o è differente? E se sì, perché? Nessun genere prediletto. Dipende dai libri e dagli autori. Non ce l’ho neppure come scrittore, un genere prediletto.

Autori/Autrici che ti rappresentano o che ami particolarmente: citane due italiani e due stranieri. Paolo Nori, Luigi Malerba, Stephen King, John Fante. Mi accorgo di aver messo quattro uomini e la cosa mi secca per cui aggiungo: Jennifer Egan, Agota Kristof, Agatha Christie e Anna Starobinec.

Di gran voga alla fine degli anni ’90, più recentemente messe al bando da molte polemiche in rete e non solo; cosa puoi dire a favore dell’insegnamento della scrittura e ai corsi che proliferano un po’ ovunque e cosa contro? Be’, io conduco dei corsi di scrittura creativa, quindi non posso certo parlarne male. Anche perché i miei sono divertenti. E servono.

Dei tuoi romanzi precedenti, ce n’è uno che particolarmente prediligi e senti più tuo? Se sì qual è, vuoi descrivercelo e parlarci delle emozioni che ti ha suscitato a scriverlo? Detto che il primo e l’ultimo non valgono, direi sicuramente “Colui che gli dei vogliono distruggere”, perché mi sono divertito come un pazzo e avrei voluto che durasse quattromila pagine, e, in un altro versante, “Cicatrici”. Perché l’ho vissuto molto.

Hai partecipato a concorsi letterari? Se sì, quali?  Li trovi utili a chi vuole emergere e farsi valere? Negli anni ’90 ho partecipato a 80 concorsi letterari, e ne ho persi 80. Non ho mai avuto nemmeno una menzione… anche perché i miei racconti dell’epoca erano orribili. Però ho girato (a mie spese) su e giù per l’Italia, andando da Trento a Crotone per veder premiare altre persone. Ho conosciuto personaggi interessanti. Aspiranti scrittrici ancor più interessanti. Ho dormito in stazioncine di periferia perché la premiazione (di un altro) si era prolungata e avevo perso l’ultimo treno. E ho capito che, se fai una cosa del genere per dieci anni, o diventi pazzo o diventi scrittore. Le due cose, peraltro, spesso coincidono.

A cosa stai lavorando ultimamente e quando uscirà il tuo nuovo romanzo?  Vuoi parlarcene? Ho consegnato un nuovo romanzo per Guanda dal titolo “Fiorito all’inferno” (me lo cambiano di sicuro), se tutto va bene uscirà tra un anno. Ma prima vorrei che uscisse un’altra cosa intitolata “L’uomo liscio”. Ora sto scrivendo il romanzo successivo, che non ha ancora un titolo… o meglio, ne ha due o tre.

Un consiglio a un aspirante scrittore? Non ascoltare gli scrittori pubblicati, famosi e semifamosi quando dicono “BISOGNA scrivere così” o “NON BISOGNA scrivere così”. Scrivi quello che ti pare. Non vergognarti di ispirarti ad altri, all’inizio. E leggi, mi raccomando, leggi.

Pubblicare non a pagamento può essere un’impresa relativamente facile. Non altrettanto la seconda pubblicazione. Ha un consiglio, invece, per quegli scrittori che dopo la prima pubblicazione vorrebbero poterne proporre una seconda alle case editrici? Cambiate editore. Ce ne sono tanti.

Grazie per averci concesso questa intervista. Prego.

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