Sottoporre un autore alle domande dell’intervista semiseria è sempre molto divertente. Non se l’aspettano e le smorfie si sprecano. Alessandro Bastasi è un’eccezione e si lascia tormentare senza un fiato.
INTERVISTA SEMISERIA:
Colore preferito. Lilla.
Cibo preferito. Ogni tipo di risotto.
In cucina, come te la cavi? Abbastanza male, comunque una pastasciutta con sugo di pomodoro e olive oppure una frittata con le cipolle le so fare (ehm… ehm… leggete che cosa dice la moglie, sì la bionda con gli occhi azzurri: “Se un giorno ci sarà motivo di divorzio tra noi, sarà a causa della tua totale inettitudine ai fornelli”).
Status sentimentale. Felicemente sposato con una donna bionda con gli occhi azzurri.
Attrice preferita. Anna Magnani.
Attore preferito. Toni Servillo.
La donna dei tuoi sogni. Mia moglie.
Tornassi a nascere, uomo o donna, e perché. Uomo, così so cosa mi aspetta.
Serie Tv preferita. House of cards.
Genere di lettura preferito. Non ho un genere preferito, anche se ultimamente prediligo il noir (da non confondere con il giallo).
Scrittore preferito. Josè Saramago.
Musa ispiratrice. La realtà.
Genere musicale preferito. World Music.
Cantante preferito. Franco Battiato.
Band musicale preferita. Pink Floyd.
Social network: sì o no? Sì. Come ci saremmo incontrati altrimenti?
INTERVISTA SERIA:
Perché scrivere? Come è nata questa “necessità” e quando?
Ho vissuto tre anni in Russia, tra il 1990 e il 1993. Ogni giorno mi appuntavo eventi e sensazioni di quel periodo eccezionale, di passaggio dalla vecchia URSS alla Russia post-sovietica. Qualche anno dopo ho ripreso in mano quegli appunti, e ho sentito la “necessità” di scrivere una storia che raccontasse quelle vicende, così sconvolgenti per un uomo della mia generazione e con la mia formazione politica e culturale. Così ho pubblicato il mio primo romanzo. E ho scoperto che tutto sommato potevo proseguire con altre storie su tematiche che mi fossero a cuore.
Come scrivi? Carta e penna, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, ipad, iphone?
Non comincio a scrivere finché del romanzo non ho in testa una trama di massima e le caratteristiche principali dei personaggi. Poi mi metto rigorosamente al computer. Succede però che, mentre sono impegnato in tutt’altro, mi venga all’improvviso un’idea per uno snodo narrativo particolarmente complicato o per un nuovo personaggio. Allora mi fermo, prendo il moleskine (che ho sempre con me) e appunto qualche nota al volo. Non mi fido molto della mia memoria.
C’è un momento particolare nella giornata in cui prediligi scrivere i tuoi romanzi?
Quando posso e ovunque possa.
Che cosa significa per te “scrivere”?
Catturare il lato oscuro della realtà (sociale, umana, politica), scavarci dentro e raccontarlo a un pubblico il più vasto possibile. Vorrei che il lettore stesse male, dopo aver chiuso il libro, e cominciasse a riflettere su aspetti dei quali i media e la politica parlando d’altro preferiscono tenerlo all’oscuro.
Ami quello che scrivi, sempre, dopo che l’hai scritto?
Direi di sì.
Rileggi mai i tuoi libri, dopo averli pubblicati?
Raramente. Le poche volte che l’ho fatto avrei voluto riscrivere interi pezzi, così ho smesso.
Quanto c’è di autobiografico nei tuoi libri?
Della mia vita reale, niente. Di quello che penso sulla società e sull’esistenza umana, tutto.
Quando scrivi, ti diverti, oppure soffri?
Non scrivo libri “divertenti”, quindi a volte mentre scrivo soffro, sì. Ma è una sofferenza che arricchisce, e non potrei farne a meno.
Trovi che nel corso degli anni la tua scrittura sia cambiata? E se sì, in che modo?
Il primo romanzo era l’innamoramento, l’urgenza di scrivere “quella” storia. Ora non è solo amore per la storia, ma anche per la scrittura in sé. Quindi oggi, per portare al lettore quello che gli voglio comunicare, sull’invadenza e la furia dello scrittore privilegio la scrittura. Che vuol dire attenzione crescente al lessico, ai dialoghi, al ritmo delle frasi, alla struttura, che possono essere ogni volta diversi in funzione del tipo di storia. Ogni storia ha il suo stile. Nell’ultimo romanzo, ad esempio, volendo comunicare la solitudine dei personaggi, ho scelto di tracciare le loro vicende – tranne in un caso – in percorsi paralleli, che si incrociano in maniera però superficiale, e per ciascuno di essi usare la terza persona immersa.
Come riesci a conciliare la vita creativa con tutto il resto? Come trovi il tempo per scrivere?
In una giornata ci sono 24 ore, basta organizzarsi.
Gli amici/i parenti ti sostengono, oppure ti guardano come se fossi un alieno?
Sono molto fortunato, sia i miei amici che i miei familiari, in particolare mia moglie, mi regalano tutto il loro sostegno.
Nello scrivere un romanzo, navighi a vista come insegna Cotroneo, oppure usi la scrittura architettonica, metodica consigliata invece da Bregola?
Sto nel mezzo: come dicevo, per iniziare a scrivere devo avere chiaramente in testa la storia e il modo di raccontarla. Poi, nella scrittura vera e propria, navigo un po’ a vista.
Quando scrivi, lo fai con costanza, come faceva Trollope, oppure ti lasci trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Trovo che la cosiddetta ispirazione sia una balla, almeno per me. Non ho “personaggi” che danzano nel cervello premendo per essere raccontati. Sono io che li creo, con costanza e con determinazione.
Tutti dicono che per scrivere bisogna prima leggere. Sei un lettore assiduo? Leggi tanto? Quanti libri all’anno?
Sono d’accordo, per scrivere bisogna aver letto molto e continuare a leggere. Sono sempre stato un lettore assiduo, anche se diffido di chi dice di leggere cento libri l’anno. Ne leggo molti di meno, ma scegliendoli con attenzione, cogliendo durante la lettura gli spunti narrativi che mi sembrano interessanti e originali e facendone tesoro.
Qual è il genere letterario che prediligi? È lo stesso genere che scrivi, o è differente? E se sì, perché?
Leggo di tutto, non mi sento vincolato a un genere. Passo da Dostoevskij a Tex Willer senza soluzione di continuità. Ma è il noir, oggi, il genere letterario forse più adeguato per raccontare la realtà. Ed è per questo che anch’io mi cimento con il noir.
Autori e autrici che ti rappresentano, o che ami particolarmente. Citane due italiani e due stranieri.
Tra gli autori che amo c’è solo l’imbarazzo della scelta. Cito soltanto Antonio Tabucchi e Josè Saramago. Nel campo del noir italiano un punto di riferimento è senz’altro Massimo Carlotto. Tra gli stranieri un classico: Raymond Chandler.
Di gran voga alla fine degli Anni Novanta, più recentemente messi al bando da molte polemiche in rete e non solo: cosa puoi dire dei corsi di scrittura creativa che proliferano un po’ ovunque? Sei favorevole, o contrario?
Non ne ho mai frequentati, quindi sospendo il giudizio. Però se condotti con professionalità penso che siano molto utili per imparare “i ferri del mestiere”.
Dei tuoi romanzi precedenti, ce n’è uno che prediligi e senti più tuo? Se sì, qual è? Vuoi descrivercelo e parlarci delle emozioni che ti ha suscitato scriverlo?
Un romanzo cui sono particolarmente affezionato è “La scelta di Lazzaro”, la storia di un ex terrorista che oggi si trova di fronte a una scelta terribile, tra la sua vita e quella della figlia di una sua ex vittima. È scritto in prima persona, e cercare di mettermi nella sua testa, creando un personaggio a tutto tondo, senza cedere a stereotipi, è stato molto complicato, ma davvero entusiasmante.
Hai partecipato a concorsi letterari? Li trovi utili a chi vuole emergere e farsi valere?
Finora non ho mai partecipato. Ce ne sono tanti, troppi, e ho la sensazione che molti di quelli più importanti siano un po’, come dire… teleguidati. Però questa volta conto di mettermi in gioco anch’io, scegliendo quelli che assieme alla casa editrice riteniamo i più seri e, perché no, utili a farsi conoscere da un pubblico di lettori più vasto.
A cosa stai lavorando, ultimamente, e quando uscirà il tuo nuovo romanzo? Vuoi parlarcene?
Ho appena terminato un romanzo noir ambientato a Milano, dove i protagonisti, un professore di storia in pensione e sua figlia che lavora in televisione, indagano sulla morte di una ragazza avvenuta cinquant’anni prima. Che cosa li induca a farlo lo scoprirete leggendo il libro. Il sottotesto del romanzo è una riflessione sul cambiamento in atto nella società a tutti i livelli, sociale, politico, culturale, sull’importanza invasiva dei media e sullo smarrimento che questa rivoluzione dei paradigmi provoca in chi ha sempre creduto nella validità granitica dei propri modelli interpretativi. Il romanzo dovrebbe uscire nei primi mesi del 2017.
OoO
Alessandro Bastasi è nato a Treviso nel 1949. A 27 anni si è trasferito a Milano, dove attualmente vive e lavora. Con un passato di attore teatrale, a Venezia ha recitato al teatro Ridotto con il mitico Gino Cavalieri, ha continuato in seguito a calcare le scene fino all’ultima partecipazione nell’atto unico Virginia (2010) di Giuseppe Battarino e altri. Nella seconda metà degli anni ’70 ha scritto numerosi articoli di argomento teatrale per riviste del settore (“Sipario”, “La Ribalta”). Tra il 1990 e il 1993 ha vissuto a Mosca. Gli avvenimenti di quegli anni – di passaggio dall’URSS alla nuova Russia – gli hanno dato materia per il suo primo romanzo La fossa comune, pubblicato nel 2008 e ambientato nella capitale russa. In seguito ha dato alle stampe: La gabbia criminale (romanzo, Eclissi Editrice 2010), Città contro (romanzo, Eclissi Editrice 2011), Ologrammi (racconto, MilanoNera Edizioni 2012), La caduta dello status (racconto pubblicato sul quotidiano “Il Manifesto” 2012), Cronaca di un’apocalisse annunciata (racconto, nell’antologia Cronache dalla fine del mondo, Historica Edizioni 2012), La scelta di Lazzaro (romanzo, Meme Publishers editore 2013), Milan by night (racconto, nell’antologia Una notte a Milano, Novecento Editore 2014), Era la Milano da bere (romanzo, Fratelli Frilli Editori, 2016). Altri racconti sono presenti in vari siti letterari.
Il blog di Alessandro Bastasi: QUI.
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