Dell’Irlanda si potrebbero raccontare migliaia di storie; chiunque intraprenda un viaggio nella sua cultura, non può che rimanerne affascinato, e io che l’ho vissuta prima come turista, poi come accompagnatrice di un pescatore a mosca (mio marito), ho avuto la fortuna di respirare l’atmosfera magica che sembra vivere in ogni cosa e soprattutto di scegliere il luogo a cui rimanere legata.

Sono stata lontana cinque anni, ma Easkey, il mio angolo di paradiso, è lo stesso paesino timido che avevo lasciato. Certo, ci sono due pub invece di uno, e Il Castle Hinn ha un pullmino nuovo fiammante per accompagnare i clienti a casa dopo un pomeriggio di bevute (alzano un po’ tutti il gomito in Irlanda, soprattutto nel fine settimana), ma il fiume continua a scorrere nel suo letto di torba, le acque scure scivolano con lo stesso impeto sino a incontrare l’oceano, e il Castello di Easkey – o meglio, quel che ne rimane – è sempre lì, a vegliare tra acqua, prati e cielo, in attesa che il tempo lo consumi e che nel vento riecheggi la sua leggenda.

 

Easkey (o Easky) è un paese che conta una manciata di abitanti (la popolazione urbana si assesta sulle 240 anime, mentre nel distretto ce ne sono circa 1200); c’è un’unica strada principale, lungo la quale si inseguono due file di case a due piani, per una lunghezza totale che non arriva a 500 metri. Il flusso turistico passa, ma non si ferma: se si va a Easky è solo per percorrere tutta la Wild Atlantic Way, la strada costiera che collega Ballina e Sligo e che vale davvero la pena di vedere e “annusare” almeno una volta nella vita.

 

Crocosmia o Montbretia

C’è un sentiero, dopo Forthland Bridge, il ponte che attraversa il fiume Easkey; percorrerlo, permette di immergersi in uno scorcio di campagna vibrante di vita, soprattutto in settembre. L’arancio della Montbretia quasi ti acceca, se è illuminato dalla luce, e siccome la pioggia e il sole si alternano facendosi un continuo sgambetto, gli alberi e l’erba risplendono e si incupiscono in un gioco di chiaroscuri che mi lascia sempre senza fiato.

 

 

I resti del Castello

Il sentiero costeggia il fiume, giunge sino alla foce, e mentre lo si percorre ecco apparire, in lontananza,  la torre, con le sue rassicuranti pareti grigie e il pennone su cui sventola la bandiera irlandese. Cinque anni fa non era praticabile, ma adesso la struttura è stata messa in sicurezza e ci si può entrare, anche se non vi è nulla più di una stanza quadrata da cui si intravede uno spicchio di cielo.

Il castello fu costruito nel 1207. L’oceano e il vento lo hanno lentamente logorato, senza però privarlo di quel fascino misterioso che sembra avvolgere tutte le antiche costruzioni dell’Isola di Smeraldo.

 

L’Oceano si insinua nella costa

Sotto c’è l’oceano scuro, e per una come me, nata e vissuta in una città industriale lontana dal mare, è impossibile non subirne la malia. L’Atlantico, poi, ha un odore così pungente da pizzicarti le narici, ti entra dentro e ti stordisce, e ti viene voglia di rimanere lì ferma a respirare il vento e ad ascoltare l’incessante moto dell’acqua sugli scogli. Non è un suono, ma una musica che ha qualcosa di soave; e quando piove, sotto quella che gli Irlandesi chiamano shower  – una pioggerella talmente fitta e sottile da essere impalpabile – l’oceano si trasforma in una lastra immobile e silenziosa, sembra quasi addormentato, e lambisce con pigrizia le spiagge di sassi e roccia fino alle lontane scogliere.

 

Muretto “a secco”

Ma è quando il vento lo ingrossa che c’è da divertirsi: i surfisti sono sempre pronti a cavalcare l’onda, l’attendono, anzi, in qualunque stagione dell’anno. Arrivano su furgoncini o camper, piazzano tende e sistemano bivacchi sotto la torre, e aspettano il momento giusto per infilare la muta e trascinare le loro tavole variopinte sino a riva. Sono europei, americani, australiani; girano la costa e la abbelliscono coi loro colori e accenti, e scivolano come razzi sulle creste spumose, vi scompaiono dentro e riemergono, e continuano per ore, fino a quando non cala il buio. Fanno parte del paesaggio, entrano nell’inquadratura, sono pezzi “d’arredo”, in un certo senso.

Uno spicchio di cielo
(castello)

Come i pescatori. Dovete sapere che in Irlanda, la pesca al salmone è un po’ lo sport nazionale – insieme all’Hurling – e quando è periodo di risalita del salmone atlantico, non c’è uomo in età da matrimonio o da pensione, che non si riversi sulla sponda del fiume per pescare o solamente per guardare.

Ho avuto la fortuna di conoscerne tanti di irlandesi, grazie alla pesca, e ho maturato l’idea che siano cordiali, ben disposti, e, a guardarli bene, gente a cui le rughe disegnano una risata attorno alla bocca, anche se non ridono. Ormai mi conoscono un po’ tutti, e temo che sappiano di me più di quanto io sappia di me stessa: per esempio che sento quella terra come “casa” – altrimenti non si spiegherebbe come mai almeno una settimana all’anno, da un numero imbarazzante di anni, continui a far parte anche io, come i surfisti, dell’inquadratura – che adoro passeggiare lungo la strada costiera, leggere e fare fotografie. (Spesso sono i piccoli dettagli a svelare le cose più importanti.)

Ma anche io ho imparato a conoscere alcuni di loro; Terry, irlandese d’adozione, è partito dalla Romagna quarant’anni fa per raggiungere prima la Germania, poi l’Irlanda. Ha costruito il suo cottage mattone su mattone. Ha una saggezza antica a brillargli negli occhi. Patrick: l’ultima volta che l’ho visto era un ragazzino, ora è padre di famiglia (tre figli sono nella media da quelle parti, meno è quasi una sciagura) e sbarca il lunario pescando salmoni a strappo per venderli alle pescherie della zona. Carol e Louis, che di pesca non sanno proprio nulla, ma possiedono un grazioso Bed and Breakfast davanti al fiume, e non mancano di dire grazie o prego o di offrire aiuto.

Sono persone amabili, in Irlanda, almeno quelle che ho conosciuto. Vanno al pub, dopo il lavoro, per ammazzare il tempo, giocare a snooker, fare quattro chiacchiere oppure per mandar giù la tristezza, ma non ci vanno mai da soli, sono sempre in compagnia. Quelli che invece si vogliono nascondere, infilano una bottiglia di whiskey in una busta di carta, si siedono su una panchina e rimangono lì ad aspettare la notte. Hanno gli occhi buoni, biascicano discorsi incomprensibili, e se sorridono – e lo fanno più spesso di quello che si pensi – svelano una bocca senza denti da far invidia a quella di un neonato.

C’è tanta bellezza in Irlanda, ma, come ovunque nel mondo, anche tanta disperazione; solo che qui sembra meno “pesante”, più tollerabile. Condivisa da tutti.

È anche per questo che la amo così tanto.

Continua…

Ashlyn McKyle è l’autrice di “Il Risveglio

primo volume della Saga “Akeros Legacy”