SPOSA A NATALE (Serie Dark Angel, Volume Settimo)

Per mantenere la promessa fatta all’anziano padre, il ricchissimo Edgar Downes è intenzionato a sposarsi entro Natale con una lady titolata. Londra è piena di signorine graziose e qualificate, ma a catturare la sua attenzione è una giovane vedova, lady Helena Stapleton. Per la verità,
niente di lei aderisce al profilo ideale della futura madre dei suoi figli, eppure Edgar è attratto da tanta bellezza e intelligenza. Helena è a sua volta intrigata da quell’uomo affascinante, ma sa che un’unione tra loro non è contemplabile. Una notte di passione è tutto ciò che si possono concedere, tuttavia il destino sembra avere altri piani. E, dopotutto, Natale è un momento
dell’anno davvero speciale…

Che dire? Un rosa storico ogni tanto (poco) ci vuole. E Mary Balogh è una delle mie scrittrici preferite.

Questa volta, però, c’è una sorpresa, anzi ce ne sono due. Il protagonista maschile non è il solito
aristocratico (ricchissimo, in bolletta, sciupafemmine, solitario, rabbioso, rassicurante… ho dimenticato qualcosa?), bensì un borghese di bell’aspetto e solido patrimonio. Ovviamente, è alla ricerca di una moglie e, avendo già compiuto il trentaseiesimo anno di età, è non poco sconcertato dalle debuttanti diciottenni o poco più che ansiosi genitori, aristocratici ma in bolletta, gli mettono sotto il naso. La lei di turno? Non aspettatevi la classica donzella
palpitante e in attesa del principe azzurro. Helena, vedova Stapleton, ha 36 anni, si gode la vita, è intelligente quanto bella e ha il Ton ai suoi piedi. Non è nella lista delle spose possibili, semmai può concedersi (e lo fa, santo cielo se lo fa!) una notte di passione con Edgar Downes.

Fra equivoci, dolorosi segreti, parenti non serpenti, aristocratici che si mostrano nobili anche d’animo (fin troppo, lasciatemelo dire), si arriva a un finale alla “brodo di giuggiole” molto “alla Mary Balogh”, quindi tirato per i capelli ma che accettiamo supinamente. Tutti sono felici, le TRE storie d’amore giungono a una conclusione da lacrimoni di felicità, ci scappa anche l’erede. Che vogliamo di più? Semplice: un altro romanzo di Mary Balogh!

OoO

LA SPOSA OBBEDIENTE.

Non appena ereditato il titolo, il visconte Geoffrey Astor si sente in dovere di garantire un futuro alla famiglia del suo defunto predecessore, sposando una delle tre figlie. Ma considerandola una formalità che non influirà sulla propria vita, non si cura neppure di scegliere. Così ad accettare di sposarlo è Arabella, diciottenne timida e poco appariscente, che per lui prova ammirazione e timore reverenziale. Da buona consorte, Arabella si impegna ad adempiere ai doveri coniugali, fino a quando scopre che il marito ha continuato a mantenere
un’amante. E allora Geoffrey dovrà rivedere molte delle proprie convinzioni, se non vorrà perdere l’amore di una moglie che ha iniziato ad apprezzare davvero…

Questo romanzo, non il migliore di Mary Balogh, ha antenati importanti e titolati. Geoffrey lord Astor, novello Mr Collins, eredita il titolo e i possedimenti di un lontano parente e, nell’euforia del momento, promette di sposarne una delle figlie. Per fortuna della prescelta (e nostra: ve l’immaginate Mr Collins come eroe romantico e sciupafemmine? No, vero?), Geoffrey è bello e affascinante, MA è anche provvisto di un’amante delle più graziose. Ovvio che per lui il matrimonio con questa diciottenne né bella né brutta sia solo un conveniente patto per produrre una cucciolata di robusti bambini con cui riempire la nursery e assicurare la discendenza. Il tapino non ha fatto i conti con Mary Balogh, che lo farà innamorare di questa sposa obbediente e ci assicurerà il solito, confortante lieto fine.

La strada verso l’innamoramento è costellata di inciampi vari ma, tutto sommato, corre su binari conosciuti e collaudati. Molto prevedibile il comportamento di Jeoffrey, portabandiera della mentalità tipica dell’epoca: con l’amante si fanno cose che un uomo non proporrebbe mai alla moglie. Meno quello di Arabella che, da sposa obbediente e passiva, si tramuta in una erinni vendicativa non appena scopre gli intrallazzi del marito.

Personaggi di contorno interessanti: il solido Theodore, ex soldato nelle guerre napoleoniche, la bellissima e stupida Frances, il villain di turno che risponde al nome di John Charlton e che ha
fatto male i conti nel suo tentativo di seduzione di Frances (al secondo pianto disperato avrei volentieri ucciso quell’oca).

Quattro stelline non si negano mai a Mary Balogh, ma questa volta la stima è superiore all’ammirazione.

Un’ultima annotazione: troppi refusi che infastidiscono il lettore che aspira a un prodotto di qualità.

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SPOSA PER CONTRATTO.

Miss Charity Duncan non si fa illusioni sulla proposta di matrimonio di lord Anthony Earheart, marchese di Staunton. L’arrogante aristocratico è stato fin troppo chiaro su cosa voglia da lei: una moglie che, con la propria inadeguatezza, mandi in collera l’odiato padre e che poi esca per sempre dalla sua vita. In cambio, la famiglia di Charity riceverà il denaro di cui ha un disperato bisogno. Sfortunatamente, dopo aver accettato di prendere parte a quella farsa, Charity scopre di essersi innamorata di Anthony, e si rende conto che spezzare i voti matrimoniali potrebbe spezzarle anche il cuore.

Ci sono voluti 18 anni, prima che questo romanzo arrivasse in Italia, pubblicato da Mondadori nella Collana “I Romanzi Classic” (n° 1114). Ne valeva la pena, visto e considerato che la storia narrata l’abbiamo già letta diverse volte, condita con le salse più strane? Direi di sì, perché aldilà della vicenda principale –il marchese di Staunton “compra” una moglie che, con la sua inadeguatezza, mandi su tutte le furie il padre, e poi esca per sempre dalla sua vita-, questa è una storia di forti affetti familiari, negati, incompresi, desiderati e temuti. Ed è la storia di come l’amore nasca tra due perfetti estranei, sposatisi il giorno dopo essersi conosciuti.
Certo, ci sono tutti gli elementi “irreali” tipici del romance, ma l’abilità di Mary Balogh è tale che ce li rende plausibili, obbligandoci a sospendere l’incredulità di cui ci eravamo ammantate all’inizio.
Parlavo di affetti familiari. Da una parte, quelli che legano Charity Duncan ai fratelli e alle sorelle: un nido di serenità e d’amore che riscalda l’anima. Dall’altra, quelli negati e nascosti tra Anthony e il gelido padre, tra Anthony e i fratelli.
Anthony Earhart, marchese di Staunton, torna dopo otto anni nella casa di famiglia, richiamato dal padre morente. Il duca vuole che il figlio ed erede sposi una fanciulla di nobile famiglia, il classico matrimonio combinato da molti anni. Ma Anthony, fuggito a quel padre dispotico, vuole vendicarsi delle angherie subite in passato. Arriverà con una moglie del tutto inadeguata: una ragazza della piccola nobiltà, indebitata e costretta a guadagnarsi da vivere lavorando come istitutrice. La compra, promettendole un vitalizio che le permetterà di pagare i debiti contratti dal padre e di mantenere decorosamente i fratelli minori.
L’accoglienza del duca e dei familiari nei confronti di questa parente indesiderata è glaciale. Nulla può renderla gradita, né l’aspetto ordinario, né l’abbigliamento modesto, né i modi calorosi e inopportuni.
Anthony si rende conto ben presto che il timido topolino che ha sposato è, in realtà, una creatura affettuosa, altruista, dal carattere indomabile. Pronta a offrire tutto il suo affetto a quella famiglia di ghiaccioli umani nella quale è entrata.
Sarà proprio il sorriso di questa sposa in affitto a portare gioia e calore tali da sciogliere un po’ alla volta il ghiaccio che ha ricoperto con una coltre spessa e inscalfibile la famiglia di Anthony.
Tutto comincia con una finzione, tutto finisce con una realtà finalmente svelata. Ed è una realtà di amore e comprensione reciproci.
Mary Balogh sfodera tutta la sua sapienza per farci digerire questa vicenda, che rosicchia tutte le regole codificate della Buona Società. Lo fa grazie ai dialoghi e al POV alternato fra Charity e Anthony. Certo, ho sentito un po’ datato il romanzo, ma non sono rimasta delusa. Ho apprezzato soprattutto la psicologia dei personaggi, anche di quelli minori, che l’autrice riesce con poche parole a delineare e rendere vivi.