Diamo la parola a tre scrittrici (in calce il link alle loro Pagine-Autore su Amazon) che ci consigliano un libro che hanno amato.

Roberta Ciuffi consiglia “Il mare dove non si tocca” di Fabio Genovesi:

Consiglio questo romanzo, che ho ascoltato su Audible. Spassoso (ci sono stati momenti in cui non riuscivo a smettere di ridere), ma a tratti anche profondo, con una scrittura quasi colloquiale ma per non per questo sciatta (la definirei funzionale alla storia) e che colpisce a tratti con improvvise impennate di lucidità.
Fabio ha un surplus di prozii con nomi che iniziano tutti con la A. Anche suo nonno, che per qualche motivo doveva per forza chiamarsi Rolando, è stato battezzato Arolando, per adeguarlo ai fratelli. Il nonno è anche l’unico dei Mancini che sia scampato alla maledizione di famiglia, che colpisce i maschi che allo scoccare dei quarant’anni non si siano ancora sposati: la pazzia. E infatti i Mancini, che vivono in case così vicine da costituire un villaggio a parte, sono universalmente noti come dei pazzi. E, avendo un solo nipote, il piccolo Fabio, se lo litigano, facendone il compagno delle loro avventure, non tutte proprio lecite…
La scena che mi ha fatto scompisciare è stata quella in cui Fabio legge un romance a delle anziane signore di una casa di riposo. Provare per credere!

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Fabio ha sei anni, due genitori e una decina di nonni. Sì, perché è l’unico bimbo della famiglia Mancini, e i tanti fratelli del suo vero nonno – uomini impetuosi e pericolosamente eccentrici – se lo contendono per trascinarlo nelle loro mille imprese, tra caccia, pesca e altre attività assai poco fanciullesche. Così Fabio cresce senza frequentare i suoi coetanei, e il primo giorno di scuola sarà per lui un concentrato di sorprese sconvolgenti: è incredibile, ma nel mondo esistono altri bambini della sua età, che hanno tanti amici e pochissimi nonni, e si divertono tra loro con giochi misteriosi dai nomi assurdi – nascondino, rubabandiera, moscacieca. Ma la scoperta più allarmante è che sulla sua famiglia grava una terribile maledizione: tutti i maschi che arrivano a quarant’anni senza sposarsi impazziscono. I suoi tanti nonni strambi sono lì a testimoniarlo. Per fortuna accanto a lui c’è anche un padre affettuoso, che non parla mai ma con le mani sa aggiustare le cose rotte del mondo. E poi la mamma, intenzionata a proteggere Fabio dalle delusioni della vita, una nonna che comanda tutti e una ragazzina molto saggia che va in giro travestita da coccinella. Una famiglia caotica e gigantesca che pare invincibile, finché qualcosa di totalmente inatteso la travolge. Giorno dopo giorno, dalle scuole elementari fino alle medie, il protagonista cerca di crescere nel precario equilibrio tra un mondo privato pieno di avventure e smisurato come l’immaginazione, e il mondo là fuori, stretto da troppe regole e dominato dalla legge del più forte. Tra inciampi clamorosi, amori improvvisi e incontri straordinari, in un percorso di formazione rocambolesco, commovente e stralunato, Fabio capirà che le nostre stranezze sono il tesoro che ci rende unici e intanto scoprirà la propria vocazione di narratore perdutamente innamorato della vita.

Sonia Morganti consiglia “Il silenzio delle ragazze“, di Pat Barker.

Io adoro qualsiasi variazione sul tema “poemi omerici” e me la sciroppo con estrema gioia, anche se faccio parte del #teamodisseo.
“Il silenzio delle ragazze” dà voce a Briseide, lo fa in prima persona e con un linguaggio molto diretto.
Achille è uno “stronzetto”, che però ha il pregio della velocità: uccide veloce e scopa veloce. Questo è un conforto per Briseide: i suoi fratelli sono morti senza sofferenze prolungate e lei si sfanga più in fretta la sua quota di dolore.
Meglio Achille che Agamennone, un sodomita convinto, tronfio e manesco.
E come sarà Aiace? Tecmessa sostiene di essersene innamorata, ma si ingozza continuamente di cibo per coprire di corpo il male che sente nell’anima.
Le ragazze, coloro che sono sopravvissute, cercano di vivere nonostante il dramma. E allora le loro parole diventano graffi, sarcastici e cattivi, mai abbastanza per quello che devono sopportare.
Loro sono cose. I guerrieri ne parlano come di oggetti. Quando se ne stufano, le buttano via, e allora è persino peggio. Le valutano, le scambiano, le usano.
Diventare cose tutto d’un tratto cambia il loro modo di sopravvivere, di agire, di respirare.
E il linguaggio è la cosa più forte, difficile da digerire, funzionale e coerente. Stride con la nostra abitudine.
È moderno? Forse no.
Forse è senza tempo e la voce di Briseide si alza dalla Bosnia o dalla Ciociaria, dalla Dacia o dal sud America, dal Medio Oriente… e si potrebbe continuare.

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Quando Lirnesso viene conquistata dai Greci, Briseide, sopravvissuta al massacro della sua famiglia, viene portata via dalla città come un trofeo e consegnata ad Achille. A diciannove anni diventa concubina, schiava, infermiera, assecondando qualunque necessità dell’eroe splendente. Ma non è sola. Insieme a lei innumerevoli donne vengono strappate dalle loro case e consegnate ai guerrieri nemici. Ed è così che confinate nell’accampamento – e nella tenda di Achille – Briseide e le sue compagne assistono alla guerra di Troia e raccontano ciò che vedono. Episodi entrati nel mito, ma anche quelli che non sono stati registrati dalle cronache ufficiali perché legati alla miserabile vita delle ragazze. Da Agamennone a Odisseo, da Achille a Patroclo, da Elena a Briseide, Pat Barker racconta la guerra più famosa di tutti i tempi dal punto di vista delle donne.

Macrina Mirti consiglia “La bambina e il nazista” di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli.

Vi consiglio di leggere “La Bambina e il Nazista”, che prende lo spunto da una storia vera, come è chiaramente spiegato in appendice. Hans Heigel, il nazista della nostra storia, fu incriminato al processo di Norimberga e assolto, grazie alle testimonianze della bambina che aveva salvato (e poi adottato) e di uno dei prigionieri del campo dove prestava servizio come ufficiale, Igor il russo.
Si tratta di un romanzo appassionante e commovente, che non glissa sulla brutalità dei campi di sterminio (e come si potrebbe) ma sa ritrovare anche nell’orrore dell’olocausto una scintilla di umanità ancora viva tra gli uomini. E credo che sia proprio la scintilla di umanità, che ancora mantiene in vita Hans Heigel, a rendere la storia drammatica e così profondamente umana. Anche la scrittura è splendida e ho notato con piacere lo zampino della mia amica Scilla Bonfiglioli, una che sa proprio come si scrive.

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Germania, 1943. Hans Heigel, ufficiale di complemento delle SS nella piccola cittadina di Osnabrück, non comprende né condivide l’aggressività con cui il suo Paese si è rialzato dalla prima guerra mondiale; eppure, il timore di ritorsioni sulla propria famiglia e la vita nel piccolo centro, lontana dagli orrori del fronte e dei campi di concentramento, l’hanno convinto a tenere per sé i suoi pensieri, sospingendolo verso una silenziosa convivenza anche con le politiche più aberranti del Reich. Più importante è occuparsi della moglie Ingrid e, soprattutto, dell’amatissima figlia Hanne. Fino a che punto un essere umano può, però, mettere da parte i propri valori per un grigio quieto vivere? Hans lo scopre quando la più terribile delle tragedie che possono capitare a un padre si abbatte su di lui, e contemporaneamente scopre di essere stato destinato al campo di sterminio di Sobibór. Chiudere gli occhi di fronte ai peccati terribili di cui la Germania si sta macchiando diventa d’un tratto impossibile… soprattutto quando tra i prigionieri destinati alle camere a gas incontra Leah, una bambina ebrea che somiglia come una goccia d’acqua a sua figlia Hanne. Fino a che punto un essere umano può spingersi pur di proteggere chi gli sta a cuore? Giorno dopo giorno, Hans si ritrova a escogitare sempre nuovi stratagemmi pur di strappare una prigioniera a un destino già segnato, ingannando i suoi commilitoni, prendendo decisioni terribili, destinate a perseguitarlo per sempre, rischiando la sua stessa vita… Tutto, pur di non perdere un’altra volta ciò che di più caro ha al mondo. Ispirandosi a fatti drammatici quanto reali, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli ci trasportano nelle tenebre profondissime di una pagina di storia che non si può e non si deve dimenticare – soprattutto oggi – mostrando però che persino nella notte più nera possono accendersi luci di speranza, a patto di vincere le nostre ipocrisie e lasciarci guidare dall’unica luce che ci accomuna tutti: la nostra umanità.

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Roberta Ciuffi

Sonia Morganti

Macrina Mirti