Sapore di sale. Alcune riflessioni. Quante canzoni sono state dedicate al mare? Agli amori che iniziano con uno sguardo timido su una spiaggia rovente? Amore, mare, adolescenza, tradimenti… Ah! Quante avventure, quante incoscienze, quanti ricordi dolci e amari ci ricorda il sapore del sale. Sapore di sale, sapore di mare cantava Gino Paoli nel 1964, una canzone che dopo sessant’anni ancora tutti conoscono. Un classico della nostra vita passata e forse futura. Sapore di sale… Questo forse inutile incipit mi è servito a introdurre l’argomento di questo sfogo, teso ad analizzare il fenomeno spiaggia.

Dopo anni sono tornata al mare, quello della seconda metà di agosto, quello della meravigliosa Liguria, quella levante di Sestri. Bell’albergo, bagni più che dignitosi con buon bar-ristorante annesso, e tanti, tanti, troppi bambini.

Punto primo: i bambini. O meglio, i bambini tra zero e cinque anni. Bocciati. Sia chiaro, adoro i bambini. Tutti belli (e non si capisce come, considerando le fattezze dei genitori), tutti teneri e tutti… urlanti. Quante volte mi sono premuta le orecchie per non ascoltare i loro esuberanti lamenti? O i loro eccitati urli di gioia perché quello che loro definiscono un castello (e che altro non è che un ammasso di sabbia fradicia) finalmente sta in piedi? Tante, troppe volte. Ma non è colpa loro, poveri bimbi. È colpa dei genitori che invece di concedere la loro attenzione all’erede, se ne fregano del castello e continuano a chiacchierare con l’amica, a parlare del maledetto virus, a raccontare degli straordinari piatti mangiati in quell’esclusivo ristorante dove sono potuti accedere grazie all’interessamento del loro grande amico il cui nome rimane segreto, perché sai, lui è qui con la nuova amante. E intanto il bambino continua il suo disperato richiamo perché a lui interessa solo che la madre guardi la sua magnifica costruzione. A volte, per evitare il fastidio di un pianto riavvicinato, intervengo: «Ma è magnifico! È quello di Cenerentola?» Il bambino mi guarda interdetto, e impaziente mi rivela che lì Cenerentola non potrebbe neanche entrare perché non combatte con i ninja. Subito dopo il bambino scoppia a piangere, la madre gli dice qualcosa del tipo: non vedi che sto parlando con Paola? E con un’indifferenza ammirevole si accende una sigaretta. Rimango senza parole.

Punto secondo: gli adolescenti. Bocciati. Di solito girano a coppie, come i poliziotti. Le ragazzine continuano a sistemarsi i capelli, a guardarsi intorno, a ridacchiare. Indicano le potenziali rivali, belle e già formose nei punti giusti. Se incontrano il figo della spiaggia, che non se le caga proprio, diventano all’improvviso sospirose, svenevoli e si voltano a guardarlo di soppiatto. Ma almeno non gridano. I ragazzi, invece, gridano, perché con loro funziona la regola alpha: devono imporsi agli altri, di solito a colpi di scherzi infantili, come fregare alla vittima di turno qualcosa di molto personale, un cappellino, il cellulare, il panino. Questo atteggiamento di solito scatena gli altri del gruppo, che per una volta non sono le vittime, ma i bulli. Si rincorrono, si tirano la sabbia, e se qualcuno è armato di pistole o fucili a acqua, sparano incuranti di chi non vorrebbe essere la comparsa di un film poliziesco. Cose da ragazzi, dice benevolo il signore dell’ombrellone vicino. Io mi asciugo faccia e gambe. Ho visto un gruppo di ragazzi sui sedici scambiarsi con fare guardingo una canna durante il bagno. Stupido, ma soprattutto molto scomodo.

Punto Terzo. Mamme e papà. Bocciati. Le madri sopportano, pensano alla cena, agli abiti sporchi dei bambini da lavare, al parrucchiere che ha dato buca; i papà girano orgogliosi per la spiaggia con in braccio il prodotto dei loro cromosomi. Se appena li guardi si fermano a raccontare le prodezze del loro erede. Fa questo, fa quello, mangia già tutto, sa persino usare il telecomando e il tablet. Non è incredibile a soli diciassette mesi? No, è triste. Ma di tablet e cellulari parleremo dopo.

Punto Quarto. I nonni. Promossi. Hanno pazienza, seguono a distanza i nipoti perché hanno paura di perderli. Ma se i piccoli si mettono a scorrazzare non riescono a tenere il passo e finiscono con rischiare l’infarto. Cosa di cui i nipotini non sono evidentemente consci. Ma a volte i piccoli diventano cattivi, terribili. Ho assistito a una scena che mi ha ricordato Rosmary’s baby. Sulla passatoia della spiaggia, direzione bar e quindi strada con macchine circolanti: bambino di circa tre anni, bellissimo, biondo, con occhi blu, che cammina a passo spedito, rosso in volto, non piange, ma schiuma di rabbia. A circa dieci metri di distanza lo segue la nonna, calma, paziente, sorridente. Il piccolo demonio se ne accorge e io seguo sbigottita il colore del suo bel viso farsi sempre più rosso, indiavolato. Si gira di scatto e affronta la nonna, non urla ma stringe i denti e minaccia la povera nonna. Segue questo dialogo: «Dove vai?» «Al bar» risponde la povera donna. «Non è vero, tu mi stai seguendo,» afferma la piccola peste fissando la nonna. «Ma va là, ho solo voglia di un caffè.» «Non ti credo. Ti odio! Non seguirmi più!» Il viso del piccolo diavolo è carico di furore, ma privo di lacrime. Lo vedo riprendere il cammino verso il bar, con la donna dietro, a dieci metri di prudente distanza. Forse sarebbe stato il caso di chiamare un esorcista, ma non ne conosco nessuno.

Punto Quinto. Il red carpet. Bocciato. Una menzione a parte si meritano quelli che, sentendosi bellissimi, usano la passerella come un red carpet e camminano ondeggiando, sorridendo a destra e a manca, concedendo il loro fascino ai poveri mortali – ovvero a tutti gli altri. Ogni tanto alzano un braccio, fingendo di salutare qualcuno – lo fanno anche i divi sui veri red carpet -, ogni tanto fanno finta di cercare qualcuno e quando fingono di non averlo trovato scuotono leggermente il capo perché una tale insubordinazione per le loro signorie non è ammessa. Ragazze e donne, di solito con tette, culi e labbra piuttosto pronunciati, e ragazzi e uomini che sperano che la loro tartaruga, così ben scolpita, vada a segno. Si muovono lentamente, e quando trovano una possibile vittima le sorridono pronti a passare, se capiterà, all’attacco.

Punto sesto. Tablet, cellulari e laptop, bocciati. Giornali e libri, promossi, ma assenti. In tutta Sestri ho visto una sola libreria, con molti gadget per i turisti, e pochi libri. Una cosa che mi ha confusa è la presenza invadente dei cellulari, ovvero dei social. Adulti, ragazzi e persino bimbi, girano con il loro cellulare in mano e non lo mollano mai, se non per fare il bagno. Mi chiedo che cosa cerchino fra quelle righe e foto virtuali: cosa fa l’amico, la prof, l’ultimo divo di Uomini e Donne? Non saprei dire, e quindi sono confusa. Anche i grandi fanno lo stesso, ma almeno, spesso, controllano le notizie, poche righe che ti raccontano il mondo e spesso ti imbrogliano. Mi guardo intorno e non c’è un solo giornale, neanche una rivista di quelle scandalistiche. Mia cara parola scritta, sei morta. Ma anche tu avevi sempre il cellulare in mano! potrebbe dirmi qualcuno. Vero, ma ero su Kindle e stavo leggendo un romanzo. Il titolo? Sintomatico: La lista degli stronzi di John Niven. Non conoscete questo autore? Leggetelo, vi conviene. E sì, è un po’ stronzo anche lui, ma di quelli intelligenti. Ah! dimenticavo il professionista col suo laptop aperto. Forse lavora, ma non credo. Un click qua, un click là mentre si guarda attorno per assicurarsi che il pubblico lo abbia notato. E quando squilla il cellulare cosa fa? Si cambia le cuffie, incasinandosi da solo con i cavi. Sarà anche un professionista con la P maiuscola, ma non ha ancora capito che basta inserire il jack delle cuffie che già indossa nell’apposita presa del cellulare.

Punto settimo. Il cibo. Troppo. Bocciato. A me piace mangiare, sia chiaro, e sono molto golosa, ma spero di non abbuffarmi come ho visto fare da uomini e donne senza il minimo ritegno. Si siedono ai tavoli del bar/ristorante del bagno e sbuffano se i camerieri non compaiono subito al loro fianco. Ordinano, senza pensare alle panze che già pendono davanti a loro, e subito dopo, rassicurati, si buttano sul cellulare e nessuno scambia più una parola, con il marito, il fidanzato, il proprio bambino. Sembra passata di moda la conversazione, a meno che non si parli del covid, della focaccia magnifica di Luca, o della scuola incombente e dei compiti non fatti. Tristezza. E a proposito del cibo, eccomi al ristorante dell’hotel dove risiedo. Qui ci sono solo due categorie di ospiti: famiglie con bambini – bocciate – e – promossi – anziani, spesso soli, spesso donne, spesso vedove. Come mai? Semplice. Perché, cari signori, noi donne viviamo più a lungo di voi.

Punto ottavo. Lo struscio. Bocciato. Scoppia alla sera, all’ora di pranzo e prosegue indefesso fino a notte. Il Caruggio (la bella via centrale di Sestri) si popola all’improvviso di persone che non sanno cosa fare. La mascherina è un optional perché impedisce di mangiare, prima la cena al ristorante, poi il gelato o di bere l’ennesimo drink. Guardano le vetrine dei negozi con desiderio, ma non entrano. Cosa facciamo, andiamo a ballare, perché non un bagno nella Baia del Silenzio? Un sacco di proposte che vengono accolte con un’alzata di spalle e una smorfia. Intanto gli zombie continuano a camminare, a scontrarsi, a chiedersi cosa facciamo? Lo struscio non si ferma mai, se no che vacanza è?

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