Abbiamo sorpreso Velo Nero mentre si morde le unghie: il 29 febbraio è dietro l’angolo e lei attende (anche noi, se è per questo) l’uscita del suo ultimo romance: Uptown Girl. L’agitazione l’ha fatta parlare come un torrente in piena.

INTERVISTA SEMISERIA:

Colore preferito. Rosso, sono un ariete. Il rosso è il colore della passione e quando mi arrabbio vedo rosso. Porto sempre addosso qualcosa di rosso, magari anche un braccialettino di corallo… Non è un portafortuna, è solo che mi sentirei nuda senza il rosso.

Cibo preferito. Tanto. Minestrone, stoccafisso e focaccia.

In cucina, come te la cavi? Ottimo e abbondante.

Status sentimentale. Maritata.

Attrice preferita. Monica Vitti.

Attore preferito. Alberto Sordi.

L’uomo che vorresti essere. Gerard Butler.

(Veramente, le avevo scritto “La donna che vorresti essere, ma Raffaella ha questa fissa per Gerald…)

Tornassi a nascere, uomo o donna, e perché. Donna.  Qui e ora, donna. Mai sentita inferiore a un uomo. Ho sempre pensato di riuscire a fare tutto ciò che dovevo come un uomo e anche meglio di un uomo. E nessuno mi ha mai smentito coi fatti. Idem per le donne che ho preso ad esempio.

Serie Tv preferita. Castle.

Genere di lettura preferito. Giallo.

Scrittore preferito. Camilleri. Ma ti direi anche Guareschi.

Musa ispiratrice. Oggi, proprio oggi, non posso risponderti altro che Agatha Christie, per una particolarità del mio nuovo scritto. Tuttavia quando ho deciso di provare a scrivere, ho preso in mano un romanzo di Mariangela Camocardi, che ricordavo di aver regalato qualche anno prima a mia nonna, grande lettrice e amante del rosa. Insomma, leggendola mi sono resa conto di quali fossero la misura, l’equilibrio, lo studio e la passione che occorrono per creare un Romance che arrivi al cuore. Un modello.

Genere musicale preferito. R&B anni ’50 e ’60. Rock. Canzone italiana, “tutta”, e quando dico tutta, intendo dalla napoletana ai Negramaro.

Cantante preferito. Lucio Battisti.

Band musicale preferita. Dire Straits.

(Ah The Sultans of Swing”! Questa tizia comincia a piacermi).

Social network: sì o no? Lo chiedi a me?

OoO

INTERVISTA SERIA:

Perché scrivere? Come è nata questa “necessità” e quando? Quando ho ceduto a mia attività mi sono ritrovata con molto tempo a disposizione. Avevo delle storie da raccontare…

Come scrivi? Carta e penna, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, ipad, iphone? Tutto quello che hai detto… a esclusione del cellulare. Ma ho il mio piccolo e fedelissimo  netbook sempre con me. Insostituibile.

C’è un momento particolare nella giornata in cui prediligi scrivere i tuoi romanzi? Mattina e notte.

Che cosa significa per te “scrivere”? Scrivere… Per me “Scrivere” non significa niente, esattamente come “Dire”. Bisogna dire qualcosa e scrivere qualcosa, occorre un contenuto altrimenti scrivere come esercizio di stile è una perdita di tempo, soprattutto per chi ti legge. Io ho delle storie da raccontare, l’unico strumento in mio possesso per comunicarle è la scrittura. Per me la scrittura  è un mezzo, non un fine. Cerco solo il modo più efficace affinché le mie storie arrivino esattamente come le ho pensate. Vorrei che chi mi legge percepisse quello che ho immaginato. Io voglio raccontare storie. Punto.

Ami quello che scrivi, sempre, dopo che l’hai scritto? Sì, sempre. Amo quello che scrivo, non altrettanto il modo in cui l’ho scritto. Io amo le mie storie, altrimenti non le scriverei.

Rileggi mai i tuoi libri, dopo averli pubblicati? Sì, e trovo tantissimi difetti. Ma mi aiutano a capire che cosa non so fare, dove ho sbagliato e come porre rimedio in futuro. In pratica, rileggendo, correggo i bug.

Quanto c’è di autobiografico nei tuoi libri? I caratteri dei personaggi, come reagiscono alle situazioni, come prendono la vita. In generale credo che i personaggi raccontino molto del loro autore. Insomma sono convinta che qui stia la grande sfida dello scrittore: creare dei protagonisti diversi da sé, che agiscono e pensano in modo differente. Avere il coraggio di estraniarsi. Vi spiego meglio ciò che intendo: mi piacerebbe riuscire a creare un protagonista efficace che abbia valori e ideali diversi dai miei, credo che uno scrittore lo sappia fare, io no. Ma non demordo.

Quando scrivi, ti diverti, oppure soffri? Io soffro. E più mi diverto, più soffro. Scrivere è fatica, mi fa venire il mal di testa. Più mi faccio prendere dal sacro fuoco, più mi stanco, ma – si può dire? – godo! Comincio lenta, un paragrafo ogni plenilunio, poi, quando sono lanciata divento come un pachiderma che, iniziata la carica, è impossibile da frenare.

Trovi che nel corso degli anni la tua scrittura sia cambiata? E se sì, in che modo? Sì, è cambiata. Sicuramente è più sciolta e consapevole, ma allo stesso tempo è peggiorata: sono meno sintetica e più enfatica. Ah, infarcisco i testi di frasi fatte. Insomma, sbaglio sapendo di sbagliare, sono diabolica e persevero.

Come riesci a conciliare vita privata e vita creativa? Non ci riesco.

La scrittura ti crea mai problemi nella vita quotidiana? È la vita quotidiana che crea problemi alla scrittura.

Come trovi il tempo per scrivere? Portandomi appresso il netbook.

Gli amici/i parenti ti sostengono, oppure ti guardano come se fossi un’aliena? Mi hanno da sempre guardato come fossi un’aliena, quindi nessuna differenza, e se ne infischiano altamente di quello che scrivo: nemo propheta in patria.

Nello scrivere un romanzo, navighi a vista come insegna Cotroneo, oppure usi la scrittura architettonica, metodica consigliata invece da Bregola? Sono ligure, navigo a vista remando su un bel gozzo, anche quando ciò che vedo all’orizzonte è solo un miraggio.

Quando scrivi, lo fai con costanza, come faceva Trollope, oppure ti lasci trascinare dall’incostanza dell’ispirazione? Incostanza, il mio terzo nome.

Tutti dicono che per scrivere bisogna prima leggere. Sei una lettrice assidua? Leggi tanto? Quanti libri all’anno? Lettrice costante… no. Compulsiva? Sì. Se inizio non smetto. Ho attraversato varie fasi: ho passato periodi da un giallo al giorno, ora direi che sto sul romanzo a settimana, massimo due. E poi leggo saggi, ma a rilento. Ritaglio alla lettura il tempo per scrivere.

Qual è il genere letterario che prediligi? È lo stesso genere che scrivi, o è differente? E se sì, perché? Mi piacciono i gialli, che non leggo più perché in pratica ora sto leggendo solo le colleghe. Bravissime, per altro, e mi hanno appassionato. Gli amici di sempre sapendo che amo il giallo, specie quello italiano, mi fan tutti e costantemente la stessa domanda: “Perché scrivi rosa?”. E io sempre la stessa risposta: “Non scrivo gialli perché le mie storie sono rosa”. E poi non ne sarei capace.

Autori e autrici che ti rappresentano, o che ami particolarmente. Citane due italiani e due stranieri. Danila Comastri Montanari e Adele Vieri Castellano, perché mi riportano nell’antica Roma e mi permettono di riviverla, cosa che –come scrittrice- io non saprei mai fare. Poi mi devo innamorare dei personaggi che uno scrittore crea. Loro ci sono riuscite. Stranieri? Non leggo molti autori stranieri contemporanei, mi dispiace, ammetto l’ignoranza. Ti cito Donna Tartt e la Kingsolver che mi son piaciute. Tutte donne? L’ultimo straniero che ho studiato a tappeto quando ho deciso di scrivere erotico, e che adoro per la sua totale sospensione della moralità, è Henry Miller. Ma non è proprio contemporaneo, vero?

Di gran voga alla fine degli Anni Novanta, più recentemente messi al bando da molte polemiche in rete e non solo: cosa puoi dire dei corsi di scrittura creativa che proliferano un po’ ovunque? Sei favorevole, o contraria? Corsi di scrittura creativa? Dove? Chi? Quando? Scherzi a parte, credo siano utilissimi, quando non sfociano nel dogmatismo.

Dei tuoi romanzi precedenti, ce n’è uno che prediligi e senti più tuo? Se sì, qual è? Vuoi descrivercelo e parlarci delle emozioni che ti ha suscitato scriverlo? Il primo, la saga di Westbury. È lì, in sospensione come un campioncino in formalina. So, e lo so per certo, che la storia, per come si evolverà, sarà epica. Quello che ho scritto finora è solo la necessaria premessa, ma è stato scritto da un’altra me, all’inizio. Non ho ancora il necessario distacco per intervenire in maniera oggettiva. Diciamo che la mia paura è quella di creare qualcosa che sia più per me che per gli altri, di non riuscire a trasmettere quello che la storia meriterebbe. Al momento è una cattedrale nel deserto. Ma va bene così, ho altri progetti.

Hai partecipato a concorsi letterari? Li trovi utili a chi vuole emergere e farsi valere? Sì, due o tre. E li considero utilissimi, ma non perché portino da qualche parte ˗ cosa a cui non credo, così come non credo diano grande visibilità ˗ piuttosto perché sono una palestra. Ti obbligano a stare nei tempi, nelle battute, nell’impaginazione, insomma ti disciplinano e danno all’autore un’idea di quello che è il mondo dell’editoria.

A cosa stai lavorando, ultimamente, e quando uscirà il tuo nuovo romanzo? Vuoi parlarcene? Sono orfana. Ho appena finito l’editing del romanzo che uscirà a fine mese. Sì, questo mese, il 29 febbraio… corrente anno. E sono terrorizzata.

Questo è nuovo, mai pubblicato come invece era accaduto per il Fatale Addio, che sapevo essere piaciuto abbastanza. Non so che aspettarmi.

È un erotico contemporaneo, piuttosto spinto. Mi troverò a confrontarmi con maestre del genere. Dura reggere il passo ed essere innovativa, anche perché ho ricalcato i canoni del genere, tutti quanti i canoni.

L’ho fatto volutamente, prendendomene i rischi. Scrissi la prima stesura a battute contate tre anni fa per un concorso, sono passata dalle ottanta cartelle originarie alle trecento attuali, quindi ne ho fatto “altro”.

In questo romanzo, ci sono un po’ le mie considerazioni sul genere, sugli stereotipi, il mio personale omaggio alle Sfumature (lo scrissi in prima stesura nel 2013), nonché la critica a quello e all’intero filone che ne è seguito, partendo proprio dal riecheggiarne molti luoghi comuni. Alla fine vien fuori ciò che penso io: non conta essere originali nella trama, ma nel modo di interpretarla.

In questo romanzo, alla fine del viaggio, avrò mostrato al lettore che cosa piace a me in un personaggio e che cosa troverà nei miei racconti, da qui all’eternità.

Sono stata abbastanza oscura?

Bene, perché così vi verrà voglia di leggerlo per capire che accidenti io abbia voluto dire.

A chiunque lo prenderà in mano chiedo di sospendere il giudizio fin oltre la metà del libro, magari di arrivare alla fine, sforzandovi di ingoiare gli stessi bocconi amari che son toccati a Jacqueline, la mia protagonista. Magari riuscirete a comprendere le sfaccettature del personaggio.

Ho creato un gruppo chiuso su Facebook, consentirò l’accesso solo a chi avrà letto il libro e avrà piacere di parlarne, perché per via dei particolari risvolti gialli della vicenda vi chiedo di non spoilerare.

Il gruppo si chiama UPTOWN GIRL, come il titolo del romanzo.

Sì, è proprio tratto dalla canzone di Billy Joel, parla di una ragazza ricca, addirittura con sangue nobile, che per via di alcuni rovesci finanziari cade nelle mani del solito dominatore senza scrupoli che decide di usarla per sperimentare, in cambio di un grosso aiuto.

Insomma, fin qui tutto come da programma.

Perché leggermi, allora?

Ma perché io sono VeloNero.

Anzi, proprio qui scoprirete il perché di questo pseudonimo, proprio con questo romanzo che ho deciso di pubblicare con il mio nome.

Sì, mi chiamo Raffaella. Ma sono anche VeloNero, e rimarrà una V. a ricordarlo, perché è importante: è il mio progetto letterario.

Quindi non vi resterà che leggere “Uptown Girl” di Raffaella V. Poggi, edito da Newton Compton Editori, che con me si prendono sempre un bel rischio. Uscirà prima in ebook, in tutti gli store, arriverà poi il cartaceo, ma, vi confesso, non me ne preoccupo perché son già abbastanza terrorizzata così, in “versione digitale”, “acquistata” nel web dove più o meno qualcuno mi conosce.

Io intanto vi do appuntamento alla fine del viaggio, tra le mie parole, tra le mie pagine.

Grazie. Sei una valanga, lo sai? (ride) A presto, da Raffella, anzi VeloNero.

OoO

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