ADA D’ADAMO, COME D’ARIA.

Daria è la figlia, il cui destino è segnato sin dalla nascita da una mancata diagnosi.
Ada è la madre, che sulla soglia dei cinquant’anni scopre di essersi ammalata. Questa scoperta diventa occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia e raccontare la loro storia.
Tutto passa attraverso i corpi di Ada e Daria: fatiche quotidiane, rabbia, segreti, ma anche gioie inaspettate e momenti di infinita tenerezza.
Le parole attraversano il tempo, in un costante intreccio tra passato e presente.
Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come un dono.


Mah… Scrittura lucida, lucidissima. Si direbbe spietata. Nonostante l’argomento trattato, anzi “gli” argomenti trattati – malattia genetica della figlia Daria e cancro dell’autrice – forse proprio a causa di questa scrittura così perfetta e controllata, senza sbavature, senza cedimenti, non sono del tutto riuscita a entrare empaticamente in sintonia con le due storie.
Certo, a fine lettura, rimane un magone, un senso di frustrazione per l’impotenza della Medicina. E, forse, di sottofondo, non so, la percezione/intuizione di un marito che, chissà, avrebbe potuto far “scrivere” un’altra storia se, nel passato, si fosse comportato in maniera diversa con Ada.
Sono i dubbi che l’Autrice stessa fa affiorare, in punta di piedi, qua e là nella narrazione, senza mai una parola di troppo.

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MAURIZIO DE GIOVANNI: IL CONCERTO DEI DESTINI FRAGILI

Il dottorino, l’avvocato, la donna dell’Est che fa la domestica. Tre persone che potrebbero non incontrarsi mai, non hanno nulla in comune. L’avvocato è immerso in una vita da privilegiato e nel rimpianto di un unico amore perduto. La donna lotta per la sopravvivenza e per offrire un futuro migliore a sua figlia. Il dottorino vive per il lavoro, una vocazione che gli è costata il sogno di una famiglia. Fino a che la realtà non si capovolge e queste tre persone qualcosa in comune ce l’hanno. Una cosa piccolissima, invisibile. Che cambia le carte in tavola per ciascuno in modo diverso, portando in superficie la trasgressione, la disperazione, il coraggio.
Questa è la storia dell’intreccio dei loro destini ma è anche molto di più: è una profonda ricognizione nel mistero della mente messa a confronto con l’amore e la paura, con la responsabilità e la morte.
Il romanzo di Maurizio de Giovanni sorprende e commuove per la sua intensità letteraria e umana. Perché le vite di questi tre personaggi sono le nostre e questa storia parla di noi. Dei dilemmi che segnano ciò che siamo, dei fantasmi che abbiamo dentro, della forza di cui siamo capaci quando decidiamo di affrontarli.

Well, per me Maurizio de Giovanni “è” i “Bastardi di Pizzofalcone” ma è anche un nome di cui mi fido, uno stile di scrittura, cioè, molto nelle mie corde, e quindi ho letto il libro in foto.
Well di nuovo. Trama avvincente: tre protagonisti dissimili tra loro (un viveur, una colf dell’Est, un “dottorino”) alle prese con i loro problemi esistenziali (la colf, com’è facile immaginare, di esistenza / sussistenza, pochi… voli pindarici) durante il lockdown.
Alti e bassi. La vita, i suoi incroci, le sue trame ordite dal Fato, mescolate alle nostre scelte.
Bella scrittura scorrevole.
Ma… perché Maurizio de Giovanni ha fatto sparire virgolette e/o caporali ecc. dalle battute di dialogo?
È trendy scrivere senza “avvisare” il lettore che I personaggi stanno dialogando?

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