Sarah Bernardinello vive con il fratello e sei gatti schizofrenici in mezzo alla campagna del Basso Polesine. Infermiera nell’ospedale del capoluogo di provincia, si divide tra il lavoro (che prende la maggior parte del tempo), la scrittura (suo personale ansiolitico) e il tenere in ordine la casa (senza esagerare).
Alcuni suoi libri:
SOLTANTO TU, romanzo breve, Delos Digital, 2015.
L’ULTIMO COLPO, romanzo breve, Self-Publishing, 2016.
DUE CUORI E UN DETECTIVE – CHICAGO SUMMER, CHICAGO SEASON #1, novella MM, Triskell Edizioni, 2017.
NEW YORK STORIES, raccolta di due racconti MM, Self-Publishing, 2017.
NON POSSO DIMENTICARTI, romanzo MM, Quixote Edizioni, 2017.
DAMMI UN’OCCASIONE – CHICAGO WINTER, CHICAGO SEASON #2, novella MM, Triskell Edizioni, 2018.
TRA I GHIACCI DELL’ALASKA, romanzo MM, Quixote Edizioni, 2019.
A questa lista mancano tutti i racconti pubblicati nel corso degli anni, ma diventerebbe chilometrica. Vi sono due romanzi già accettati da due Case editrici diverse, ma Sarah allargherà la lista solo quando saranno stati pubblicati.
Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Ora come ora, scrivo un genere ancora di nicchia, il Male to Male, o MM, come si dice per abbreviarlo. Un genere che ho incontrato circa cinque anni fa, e di cui mi sono innamorata alla follia, abbandonando piano piano il romance classico, a parte alcuni romanzi ben scelti. Parlando da lettrice, questo genere mi ha portato in un altro universo, facendomi conoscere nuove situazioni, donandomi emozioni inaspettate per un genere così “particolare”. La maggior parte delle colleghe che scrive romance MM viene dal mondo fandom, è cresciuta con gli yaoi; io no, io ho imparato strada facendo, in questo periodo breve e lungo allo stesso tempo. In quanto a scriverlo, c’è voluto un po’ di più, un contest per dei racconti estivi, e l’illuminazione mi ha travolta, letteralmente. Così ho scritto il mio primo racconto MM, che si è pure piazzato bene, chi l’avrebbe mai detto. Non ho iniziato con questo, però: il mio primo romanzo breve, edito da Delos Digital, è un contemporaneo FM classico, così come il secondo, un western romance di ambientazione storica, pubblicato in self. Non so cosa mi abbia portato a scrivere MM, in realtà: forse la possibilità di esplorare un mondo diverso, di portare in superficie sentimenti diversi. Non pretendo di pensare come un uomo, ma mi appello alla immaginazione, al cuore e a tutto ciò che può avvolgere una persona. Ho sperimentato diversi sottogeneri, dallo storico al fantasy, al romantic suspense al romance puro. Non ho abbandonato l’FM, ma l’MM è un genere che riempie il mio cuore e per ora continuerò a scriverlo.
Come scrive? Penna e carta, Moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
Tutto rigorosamente a video. Gli appunti, se di appunti vogliamo parlare, sono nella mia testa, così come le scene principali: viste e riviste, ripassate, migliorate. Raramente butto giù descrizioni, personaggi, situazioni. L’unica cosa che devo scrivere sono i nomi, quello sì: ho la memoria di un criceto, per quelli, a meno che non si tratti dei protagonisti.
C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
Preferisco il mattino: se non lavoro oppure ho la notte, scrivo dalle 10 alle 12; se ho il turno di pomeriggio, dalle 10 alle 11. Nel pomeriggio, la mia concentrazione vivacchia, ma scrivo comunque per un’oretta. Se ho romanzi da correggere, li concentro proprio di pomeriggio.
Quando scrive, si diverte oppure soffre?
Entrambe le cose, dipende da cosa sto scrivendo al momento. Ricordo una scena del romanzo fantasy (il secondo volume, mai pubblicato, vedremo quest’anno se riuscirò a finire almeno il primo) in cui scrivevo con un groppo in gola, rivivendo la scena parola per parola, le facce dei protagonisti impresse davanti agli occhi. In un’altra occasione, ridevo alla battuta che avevo messo in bocca a uno dei personaggi. Insomma, l’autore deve divertirsi, piangere e soffrire con ciò che scrive: secondo me, potrebbe definirsi una cartina di tornasole riguardo le emozioni che potrebbe suscitare nel lettore.
Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Navigo a vista. Mi spiego: ho provato diverse volte a fare una scaletta con quello che volevo scrivere nei capitoli, quanti capitoli erano necessari, e così via. Inevitabilmente, tutto è finito per stravolgersi. A prescindere da ciò, so dove inizia e dove finirà (più o meno: anche questo si stravolge un po’); tutto quello che sta in mezzo, a parte scene particolari che non so come attecchiscono e non se ne vanno finché non le riporto sul video, è un’incognita. Tuttavia, posso dire di aver usato una specie di “scrittura architettonica” per l’ultimo romanzo della serie Chicago Season: ogni capitolo aveva il suo preciso indirizzo, sebbene, per non smentirmi, non sapessi mai cosa, come e quanto avrei scritto. Però ho seguito abbastanza fedelmente le linee che avevo tracciato, perciò, per una volta, ho usato una scaletta, traballante ma presente.
Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Scrivo tutti i giorni, turni permettendo. Alcuni giorni un po’ di più, altri meno, ma cerco di farlo sempre. Il mio mantra personale è: se non scrivo, non produco, se non produco non consegno. Già i tempi si allargano a causa degli impegni, devo adattarmi se voglio dare un senso alla mia scrittura.
Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto?
È una domanda trabocchetto? Non amo nemmeno i capitoli finiti, figuriamoci un libro intero. Questo appena terminato di scrivere. Dopo qualche tempo, lo apprezzo. Credo dipenda dalla fatica impiegata, non ci sono altre spiegazioni.
Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Sempre.
C’è qualcosa di autobiografico nei suoi libri?
Può essere: alcuni dei miei protagonisti sono dei rompiballe (si può dire?) come me. Ma no, ognuno è un parto della mia mente, ma diverso dalla sua “mamma”. Credo, tuttavia, che tra loro si assomiglino un po’. Indubbiamente, alcuni sono molto “cerebrali”.
Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è una lettrice assidua? Legge tanto? Quanti libri all’anno?
Ne sono convinta. Non solo leggere aiuta a migliorare il proprio lessico, ma apre la mente. Dipende poi da cosa si legge, è ovvio. Almeno una volta all’anno mi rileggo “Una storia semplice”, di Leonardo Sciascia: un piccolo libro, ma una perla meravigliosa di giallo, senza contare la scrittura. Leggo moltissimo: almeno una quarantina di libri all’anno; non ho mai fatto un conto preciso, ma siamo nel numero.
Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ho partecipato a diversi contest, da adolescente, prima di dover soccombere agli impegni scolastici e universitari. Ho ripreso a parteciparvi a partire dal 2012. Esperienze varie, racconti che andavano da una paginetta a una ventina e oltre, di diversi generi. Una palestra in cui non solo ho messo alla prova la mia immaginazione e la mia scrittura, ma ho anche conosciuto persone con le quali confrontarmi.
A cosa sta lavorando ultimamente?
Sto finendo un contemporaneo MM, non so quanto mi manca, sempre per il fatto di navigare a vista, ma non molto. In cantiere ci sono altri due MM: un contemporaneo che esplora un mondo particolare, e un altro che dovrò studiare a fondo perché l’ambientazione, le regole e la religione impongono una certa dose di delicatezza, quindi valuterò come renderlo. Per entrambi, c’è già un canovaccio pronto, perché non mi smentisco mai: mentre sto lavorando a qualcosa, il mio cervello con i suoi vari compartimenti sta già costruendo altri palazzi. Inoltre, voglio assolutamente finire almeno il primo volume della trilogia fantasy che porto avanti da anni: il mio primo amore, il mio inizio.
Commenti recenti