Salvo Fuggiano, laureato in Lingue e letterature straniere all’università D’Annunzio di Pescara, da quindici anni lavora come libraio indipendente e docente di lingua inglese e spagnola. I libri sono da sempre la sua passione e scrivere per lui è diventato catartico. Nel 2014 pubblica il romanzo La favola del silenzio (Lupo Editore). Nel 2019 esce Una ferita aperta (Les Flâneurs Edizioni); Fragile ne rappresenta il seguito e il capitolo conclusivo. Ha già pronto un quarto scritto ambientato a Pescara (città che ama) e incentrato sulle vicende dell’ispettore Agnese Poggiali.

Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Scrivo thriller, il tipo di letteratura “di svago” che preferisco. Li leggo da sempre e, quando sono scritti bene, li trovo uno strumento straordinario per immergermi, anche solo per qualche ora, in un mondo totalmente diverso e lontano dal mio. Da sempre sognavo di scriverne uno, ma mi rendevo conto che è qualcosa che non si può improvvisare. O, meglio, c’è anche chi lo fa, ma io volevo arrivarci sentendomi pronto. Quando finalmente ho visto che lo spunto che avevo immaginato come inizio per il mio primo romanzo “ Una ferita aperta” ( Les Flaneurs ed) – la vicenda dei fratellini di Gravina in Puglia, Ciccio e Tore, nel 2006– iniziava a stimolare nuove idee e spunti inattesi, ho capito che forse ero pronto e che avevo in mano una storia solida che poteva riservare piacevoli sorprese. Questo accadeva nel 2017. Oggi, a distanza di anni credo che la mia tecnica sia migliorata, e me ne sono accorto perché mi sono sentito in grado di gestire una storia fatta di intrecci che avvengono su diversi piani e trovano poi il modo di incastrarsi uno nell’altro in maniera scorrevole e senza lasciare tracce. A quel punto ho iniziato il lavoro che è proseguito per almeno un paio d’anni e che ha portato a  “Fragile”. Ho scelto questo genere perché più vicino alle mie corde, è una palestra emotiva. Scrivere Thriller mi piace perché mi fa provare la stessa paura che provano i personaggi nei quali mi identifico.

Dove e come scrive? Carta, pietra, cellulare, computer?
Scrivo tutto su carta. Fogli, quaderni, agende… tutto mi serve per buttare giù idee. Una volta finito, passo al computer. La stessa cosa quando rileggo: stampo tutto, rileggo e correggo, dopo apporto modifiche al file word.

Ogni momento è buono per scrivere, o ha “momenti speciali”?
Scrivo quando sono ispirato, ogni momento quindi risulta adatto. Ma le pagine migliori le ho scritte di notte, o in una giornata uggiosa. Mi ispirano.

Scrivere è solo divertimento, o anche sofferenza?
Quando scrivo in principio mi diverto perché sono in fase creativa. Man mano che la storia procede, e i personaggi cominciano a delinearsi, inizia la sofferenza. Soffro con loro, perché ciò che descrivo rispecchia il mio vissuto: a parte il canovaccio, c’è sempre tanto, troppo del sottoscritto. Ogni personaggio è un mio alter ego, l’altra parte di me.

Scrittura architettonica, oppure è bello navigare a vista?
Mi diverto meno se costretto a rispettare una scrittura architettonica ben delineata, quindi “ navigo a vista”, mi emoziona molto di più. E’ una sfida contro me stesso e mi permette di trasferire più entusiasmo nelle parole. Potrei aggiungere questa similitudine: chi naviga a vista è più affine a un artista che decide di dipingere un paesaggio o comporre una canzone lasciandosi guidare dall’ispirazione.

È metodico nella scrittura? Scrive tutti i giorni?
Sono un perfezionista in tutto ciò che faccio. Quando comincio a scrivere lo faccio ogni giorno. Naturalmente, non si può scrivere sempre. Ci sono giornate dove butto giù tanta roba e poi periodi di blocchi. Nessuna idea, oppure un fermo su una situazione, un personaggio. Ecco a quel punto stampo e comincio a rileggere tutto. Metto ordine nella mente e riprendo con la scrittura.

Rileggendo ciò che ha scritto, lo ama sempre?
Non amo tutto ciò che ho scritto, sono molto critico con me stesso. Una volta terminato un manoscritto lo leggo, rileggo, correggo, apporto modifiche, elimino e aggiungo finchè non arrivo a ciò che desideravo.

Quanto c’è di lei nei libri che scrive?
Nei miei libri c’è sempre tanto di me. In “ Una ferita aperta” descrivo la mia città e il protagonista (Salvatore) è l’altra parte di me. Non so se quella buona o cattiva, ma sicuramente quella fragile. Ecco perché il secondo romanzo l’ho intitolato così: ho descritto quel salto quantico passando per la sofferenza e il dolore. Riporto a galla, attraverso i miei ricordi, il mio vissuto, un antico dolore, nascosto nelle profondità dell’animo. Con “Fragile” ho ucciso le mie paure con l’intento di perdonarmi per tutti gli anni in cui sono mancato a me stesso.

Per scrivere bisogna leggere, non si scappa. Lei legge? E quanto?
Leggo tanto. Lo faccio sin da piccolo. E da quindici anni posso ritenermi un privilegiato perché ho una libreria indipendente nella mia città: Quindi leggo, leggo, leggo. Non potrei farne a meno.

Si è mai cimentato in un concorso?
Mai. Mi piacerebbe. Vedremo cosa ci riserverà il futuro.

Progetti?
Sto correggendo con la mia editor Stefania Marotta della Brassotti Agency il nuovo romanzo. Ho cambiato location: questa volta non si svolge in Puglia, ma in Abruzzo, nella città di Pescara ed è un omaggio al Sommo Poeta: D’Annunzio. Un killer poeta? Chissà. Una parte di me c’è sicuramente sia in lui che nell’ispettore Agnese Poggiali. E ne sto ultimando il sequel. Insomma è un periodo fertile per dare sfogo a tutta la mia fantasia. Ucciderò ancora, statene certi!