Luigi Romolo Carrino nasce a Napoli nel ’68, dove è tornato a vivere dopo un lungo periodo vissuto tra Roma e Milano, e un po’ anche in Sardegna. È laureato in Informatica ed è specializzato in problem solving, ma ha abbandonato la professione nel 2010. Oggi gestisce un centro scommesse nel suo paese di origine, a Palma Campania (NA).
Ha pubblicato tre libri di poesia (il più interessante è TempoSanto – Liturgia della Memoria, Liberodiscrivere Edizioni, 2006), moltissimi racconti in collettanee (tipo Lorelai dei Girasoli, in Men on Men 5, Mondadori 2006) e anche una raccolta di 12 racconti tutta sua dal titolo Istruzioni per un addio (Azimut, 2010). Per Meridiano Zero ha pubblicato i romanzi Acqua Storta (2008) e Pozzoromolo (2009), e l’edizione speciale di Acqua storta con allegato cd del radiodramma dal titolo La versione dell’acqua (2008). Nel 2012 ha pubblicato una guida-reportage sulla musica neomelodica napoletana, per i tipi di Laterza nella collana Contromano, dal titolo A Neopoli nisciuno è neo e nello stesso anno anche il romanzo anfibio Esercizi sulla madre (Perdisa Pop). Selezionato due volte al Premio Strega, curatore di alcune antologie per piccoli editori, autore teatrale (particolarmente affezionato all’omaggio ad Annibale Ruccello in Quattro mamme scelte a caso, su progetto prodotto dal Teatro Nuovo di Napoli, e al monologo Nel mio paese, interpretato da Ivan Castiglione e diretto da Mario Gelardi), autore di trasmissioni per tv locali, autore di canzoni neomelodiche (alcune sue canzoni sono state incise da Ida Rendano), a volte anche attore, performer di teatropoesia, qualche volta cantante, qualche altra muratore, pizzaiolo, pubblicista, speaker radiofonico, sceneggiatore. Nel 2012 per i tipi digitali della GoWare pubblica Il Pallonaro, romanzo rifiutato da tutte le case editrici (tranne una) e che tratta il tema dell’omosessualità nel calcio. Nel 2015 il suo ultimo romanzo, La buona legge di Mariasole, nella collezione Sabot/Age delle edizioni E/O, che scoperchia un po’ di pentole sul matriarcato nella camorra. Proprio quest’ultimo è semifinalista al Premio Scerbanenco 2015.
1. Prima domanda di rito: perché scrivere? Come è nata questa “necessità” e quando?
È una parte della vita, la scrittura. Quindi necessaria. Poi, che si faccia per catarsi o per dire qualcosa agli altri è una cosa che si decide dopo.
2. Come scrivi? Penna e carta, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, ipad, iphone?
Una volta carta e penna; poi tutto in digitale, almeno dal 1998.
3. C’è un momento particolare nella giornata in cui prediligi scrivere i tuoi romanzi?
La sera.
4. Che cosa significa per te scrivere?
Significa emozionarmi e emozionare. Con lo stile. Con la storia. Con un modo di mettere insieme le parole – spero – originale, poetico.
5. Ami quello che scrivi, sempre, dopo che lo hai scritto?
Amo, sì. Ci metto un bel po’ a terminare una cosa che ho in mente. Dopo, magari, posso pensare che avrei scritto diversamente una frase, un pensiero. Ma non rinnego nulla e mi piace anche a distanza di tempo quello che ho scritto, con tutti i difetti insiti e che scorgo a posteriori.
6. Rileggi mai i tuoi libri, dopo che sono stati pubblicati?
No, tranne uno: il primo, Acqua Storta del 2008, perché ciclicamente ci ritorno per motivi di lavoro.
7. Quanto c’è di autobiografico nel tuoi libri?
Il 100%. Anche quando parlo di cose che con la mia vita non c’entrano affatto. È la visione delle cose ad essere autobiografica, anche se parlassi di caimani amazzoni.
8. Quando scrivi, ti diverti oppure soffri?
Lacrime con gioia, diciamo J.
9. Trovi che nel corso degli anni la tua scrittura sia cambiata? E se sì, in che modo?
Io arrivo dalla poesia, dal teatro. Applicare gli stilemi propri di questi due mondi alla narrativa è stato difficile, laborioso. Oggi credo di essere riuscito – a mio modo – a coniugare l’esigenza di raccontare una storia con la possibilità di creare bolle di sgnificato, suggestioni proprie della poesia.
10. Come riesci a conciliare vita privata e vita creativa?
Non ci riesco.
11. Ti crea problemi nella vita quotidiana?
Non direi. E poi, soprattutto negli ultimi tre anni, la mia vita sociale l’ho ridotta al minimo.
12. Come trovi il tempo per scrivere?
Me lo impongo.
13. Gli amici ti sostengono oppure ti guardano come se fossi un’alieno?
Be’, sono uno scrittore. C’è un mare che di gente che scrive e pubblica. Perché dovrebbero guardarmi in modo particolare? Mi apprezzano, la maggior parte. Ad altri non piace quello che scrivo.
14. Nello scrivere un romanzo, “navighi a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usi la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Mi faccio un’idea. Ma non butto giù scalette o che. Quando mi si chiede la sinossi, anche quella a romanzo finito, ho difficoltà a scriverla. Figurati a prevederla. I personaggi cambiano nel corso della stesura e spesso cambiano anche la storia, il finale…
15. Quando scrivi, lo fai con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure ti lasci trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
No no, quale costanza. Quando mi viene, quando capita, quando me lo impongo.
16. Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: sei un lettore assiduo? Leggi tanto? Quanti libri all’anno?
D’accordissimo. “Ci sono gente”, signora mia, che manco l’italiano. Occorre leggere, tanto, tantissimo, imparare dai grandi, dai piccoli, dagli errori degli altri e dalle cose belle che gli altri scrivono. Leggo almeno due, tre libri a settimana.
17. Quale è il genere letterario che prediligi? E’ lo stesso genere che scrivi o è differente? E se sì, perché?
La poesia.
18. Autori/Autrici che ti rappresentano o che ami particolarmente: citane due italiani e due stranieri.
Agota Kristof e Emily Dickinson. Mariangela Gualtieri e Michele Mari.
19. Di gran voga alla fine degli anni ’90, più recentemente messe al bando da molte polemiche in rete e non solo; cosa puoi dire a favore dell’insegnamento della scrittura e ai corsi che proliferano un po’ ovunque e cosa contro?
Tutto il male e tutto il bene possibile. Il male riguarda il talento: quello non si può insegnare. Il bene riguarda gli strumenti: quelli si possono – e si devono – apprendere.
20. Dei tuoi romanzi precedenti, ce n’è uno che particolarmente prediligi e senti più tuo? Se sì qual è, vuoi descrivercelo e parlarci delle emozioni che ti ha suscitato a scriverlo?
Pozzoromolo, del 2009. La storia di un uomo rinchuso in oospedale psichiatrico giudiziario che non riesce a ricostruire il puzzle dei ricordi, abbandonato dalla madre da piccolo non ricorda nemmeno il motivo del suo internamento. Attraverso una ricostruzione che ha del metafisico riesce a costruire una possibile verità dei fatti accaduti. Le cose che ho scritto le sento tutte mie, ma Pozzoromolo ha un posto speciale nel mio cuore perché ha una lingua tutta sua, la lingua dei folli, dei disadattati, dei diseredati.
21. Hai partecipato a concorsi letterari? Se sì, quali? Li trovi utili a chi vuole emergere e farsi valere?
Qualcuno, ma non sempre perché li ho cercati io. Ad esempio, allo Strega non ci si iscrive ma si viene proposti da almeno due Amici della Domenca. I concorsi sconosciuti servono a bene poco, considerato che anche quelli famosissimi non è che spostano le vendite più di tanto. Serve come prestigio, come motivazione ad andare avanti, un po’ serve anche all’ego, al rispetto di altri colleghi.
22. A cosa stai lavorando ultimamente e quando uscirà il tuo nuovo romanzo? Vuoi parlarcene?
Al seguito de La buona legge di Mariasole. Un’altra storia di vendetta, di matriarcato nella crimininalità.
23. Un consiglio a un aspirante scrittore?
Smettila… No, scherzooo. Quello di far leggere le sue cose ad autori noti, chiedere consigli, ascoltarli.
24. E ne avresti uno anche per chi ha già pubblicato il primo romanzo e deve orientarsi per ottenere una seconda pubblicazione?
Trovarsi un agente letterario – serio – che creda nel suo lavoro.
Grazie per averci concesso questa intervista.
Grazie a voi.
Commenti recenti