Gli occhi di Eu sono luce, dalle sue ossa nasce la gravità e pelle di terra fertile su cui vivono i suoi figli, in una realtà scandita dai battiti di un cuore colossale. È un continente, un mondo, un dio… e sta morendo. L’inventore Beto si accorge che la profezia dei suoi genitori si sta avverando e deve partire su una nave volante per comprendere le verità celate dietro alla fine di ogni cosa. Dalla pelle della schiava Mezzaluce si risveglia un potere che la costringe a guidare il suo popolo in una fuga disperata dentro al corpo in rovina. La novizia Velia riceve un sussurro dello stesso Eu. Deve recarsi al cranio per salvarlo. Ma un dubbio minaccia la sua missione. E se persino il creatore potesse mentire?
Titolo: Sonata per la morte di un dio.
Autore: Giacomo Arzani.
Genere: Fantasy.
Editore: Acheron Books.
Prezzo: euro 6,99 (eBook); euro 18,05 (copertina flessibile).
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Tre stelle su cinque. Non è un brutto voto, ma neanche bellissimo. Vado a spiegare: troppe pagine e scritte troppo fitte nell’evidente tentativo di non pubblicare un tomo troppo importante. Troppi refusi, ma veramente troppi, che hanno rovinato lo splendore di una bella scrittura. Tre personaggi e una pletora infinita di mini capitoli per fornire a ciascuno dei tre i loro POV nell’evidente culto dello show don’t tell. Sia mai che si spiegasse qualcosa di un world-building che definire estremo è dire poco. Un enorme corpo umano è il mondo dove si muovono una schiava estrattrice, Mezzaluce; un inventore pazzo, Beto; una sacerdotessa cieca con cristalli infilati nelle orbite, Velia. La schiava vive nel profondo della grotta toracica, tra arterie che buttano emomagma, tenie assassine e guerrieri spietati. L’inventore vive sul dito di una mano del dio. La sacerdotessa vive più o meno all’altezza della radice del naso. In tutti e tre gli ambienti ci si rende conto che al mondo/corpo di Eu (il nome del dio) sta accadendo qualcosa. Una catastrofe incombe e, per vie, voci, profezie, leggende diverse, i tre protagonisti capiscono che devono fare qualcosa per salvarsi e salvare i loro simili. Una fantasia sfrenata, un modo di raccontare attraverso gli occhi dei tre (sì, anche quelli della sacerdotessa cieca) che spesso mette in difficoltà chi legge per capire il dove, il quando, il come. Un libro d’esordio ambizioso, forse troppo. Però quella di Arzani è una voce originale, una storia diversa da tutte le altre. Ci sono compiacimenti in alcuni passaggi (uno scontro che sembra la sceneggiatura di un combattimento della Marvel scritta in preda a esaltazione da effetti speciali), ci sono anche ingenuità. C’è lo sforzo, riuscito, di dare a ciascuno dei personaggi la sua voce, il suo stile, perfino le sue imprecazioni. Ci sono definizioni che sono più che neologismi, ma funzionano benissimo. Ci sono dialetti e questi, invece, non funzionano affatto perché regionalismi italiani in un mondo che più fantastico non si potrebbe… no, proprio no. Lo consiglio? Beh, se amate il fantasy fatto d’armi, sangue, cicatrici, con punte splatter, sì. Per quel che mi riguarda, appartengo al team Mezzaluce con tutta la sua banda di Senzapelle coperti di cicatrici.
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Copertina: Cover del libro recensito e immagine inviata da Laura Costantini. Rielaborazione Canva.
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