Storie che vi devo raccontare, di Kabir Bedi

Avevo tredici anni nel 1976. E mi innamorai perdutamente di Kabir Bedi nei panni di Sandokan. Mai desiderai di essere Marianna, mi sarebbe piuttosto piaciuto essere lui, la Tigre della Malesia. Conservo ritagli e foto, compresa una autografata che mi venne spedita in risposta a una lettera imbarazzante da adolescente innamorata. Nel tempo, grazie al mio lavoro, ho avuto la fortuna di incontrarlo e intervistarlo. E non ho avuto il coraggio di chiedere una foto insieme. Che scema. Quando ho visto questo libro in una libreria della stazione di Torino, non ho avuto dubbi. E ho avuto ragione. Kabir Bedi è un uomo speciale, non tanto per il fascino, quanto per una personalità gentile e profonda che avevo intuito e che queste pagine mi hanno confermato. Inoltre, la sua famiglia ha avuto ruoli importanti nella storia dell’India e della diffusione del buddhismo nel mondo occidentale. È stato un piacere leggere la sua autobiografia. Cinque stelline.

Raramente capita di leggere un’autobiografia così sincera. Kabir Bedi, l’indimenticabile Sandokan, ha messo a nudo la sua anima, raccontando in questo libro non solo la sua carriera di star internazionale, ma anche le tragedie che l’hanno colpito, i grandi amori tormentati, il sapore spesso amaro del successo. Un successo planetario, che l’ha portato da Bollywood a Hollywood passando per l’Italia. Perché è nel nostro paese che tutto è iniziato, quando il regista Sergio Sollima l’ha scelto per il ruolo di Sandokan nella miniserie dedicata al personaggio di Emilio Salgari, che con i suoi 27 milioni di spettatori resta una delle più viste nella storia della televisione italiana. Era il 1976, e dopo l’Italia Kabir conquistò l’Europa, poi Hollywood, che lo scritturò come antagonista di James Bond in “Octopussy – Operazione piovra”. Il giovane giornalista timido ma coraggioso che a Delhi riuscì nell’impresa impossibile di intervistare i Beatles, in pochi anni era diventato una star in tutto il mondo. Ma dietro questa facciata smagliante c’era un uomo integro, che cercava di conciliare i suoi valori, la sua spiritualità e i suoi affetti con le proprie ambizioni e con le leggi spesso ciniche dello star system. Tante le donne importanti della sua vita, dall’indomabile prima moglie Protima al grande amore Parveen Babi, attrice bellissima e tormentata, all’attuale moglie Parveen Dusanj, l’approdo sicuro dopo una vita tumultuosa. Tanti i dolori, su tutti la perdita dell’adorato figlio Siddharth (narrata con straziante sincerità nel sesto capitolo del libro) e la lontananza della madre Freda, diventata monaca buddhista quando lui era giovanissimo. I momenti migliori della vita di Kabir sono forse quelli che gli ha regalato l’Italia. E uno dei capitoli più divertenti del libro è dedicato ai suoi incontri romani: con Federico Fellini, che pur all’apice della fama gli racconta di non trovare produttori per finanziare i suoi film, o con Gina Lollobrigida, causa di un “incidente diplomatico” con l’allora fidanzata Parveen Babi. “La mia vita” scrive Kabir “è stata un ottovolante di emozioni”. E leggendo questo libro si ha proprio la sensazione di volare con lui.

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Bosco sacro, di Marzia Musneci.

Questo piccolo giallo è un gioiello, un cameo intagliato al chiaro di luna mentre le fronde del bosco sacro sul lago di Nemi sussurrano storie di donne. Donne forti e donne ferite sulle quali si posa lo sguardo della più misteriosa e distante delle divinità. Una dea fredda, luminosa ma oscura, feroce come certe vendette. Gli uomini ci sono, in questa storia, per ferire, morire, indagare e non capire. Perché certe cose non sono da maschi, anche quando sono esclusiva e imperdonabile colpa dei maschi. Un giallo piccolo e prezioso, assolutamente da leggere. Cinque stelline.

Forse è una fuga, quella della commissaria Camilla “Milla” Sbragia. Dopo dieci anni passati a gestire i crimini più o meno gravi della Stazione Termini e sei presso la Sezione Reati a Sfondo Sessuale, è scappata dalla Capitale e dalle emicranie che il sovraccarico emotivo le causava. Si è fatta trasferire a Nemi, un paese di quasi duemila anime, arroccato su un lago noto soprattutto agli amanti del mito. A pochi passi dal borgo, un bosco, teatro di riti antichi e cruenti, sacro a Diana poiché dimora del suo amico Virbio. Un luogo che gronda sangue. E Milla lo sa. Dopo due anni di pace, infatti, un omicidio. Seguito subito da un altro. Entrambi sono probabilmente collegati all’ultimo crimine avvenuto nel paesino alle pendici dei Castelli Romani, risalente al 1945 e rimasto irrisolto. Milla sa che l’intuizione è al contempo un suo pregio e un suo difetto, ma è convinta che l’intuito conosca più della ragione, e l’esperienza più della gerarchia. Per questo decide di farsi aiutare dall’ispettrice Gigia Falanga, una poliziotta bella quanto scorbutica, che l’aiuterà però a salvarsi dalle ombre lunghe e minacciose del passato.

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