Lessi questo romanzo la prima volta negli anni Settanta: possiedo ancora l’edizione maior Mondadori del 1973, che però comprai qualche tempo più tardi in un remainder, perché all’epoca mi potevo permettere solo rosa usati o simili. Nei primi dieci anni, profondamente affascinata da Worth, lo lessi ripetutamente fino a saperlo quasi a memoria, mi pareva. L’ho ripreso in mano a distanza di tanto tempo e confesso che mi ha riservato non poche sorprese.
Il dandy della Reggenza, per chi non lo sapesse, è il prototipo del regency, il regency per eccellenza. Un’autrice che si volesse cimentare con il genere trova qui tutte le informazioni che le servono perché il romanzo, pubblicato la prima volta nel 1935, è basato su un’ottima documentazione. C’è tutto quanto riguarda quel piccolo gruppo di persone, la crema della crema, che va sotto il nome di ton, ma che loro chiamavano ipso facto “società”, perché ai loro occhi tutto il resto della popolazione (non solo la plebe e la borghesia, ma anche la piccola nobiltà, anzi in genere tutti quelli che non facevano parte del loro gruppo) non esisteva: ed ecco gli incontri di pugilato rigorosamente riservati agli uomini (nel senso che le donne non dovevano neanche girare per le città dove avevano luogo), i combattimenti di galli, i duelli per futili motivi, le gare di corsa fra calessi, il teatro del Covent Garden, Almack’s, il club più famoso dell’epoca, con le sue patronesse lady Sefton e lady Jersey, il luogo migliore per trovare marito, perché a differenza di White’s e simili vi erano ammesse anche le donne. Nel corso della narrazione incontriamo il Reggente e i suoi fratelli, Byron, Lewis e poi, naturalmente (e come poteva mancare?), Brummell. Il tutto mentre in Spagna è in corso la guerra antinapoleonica, ma praticamente nessuno ne parla in questo mondo chiuso ed elitario, con cui alcuni decenni più tardi il principe Albert si scontrerà.
Al centro della narrazione ci sono due storie d’amore: quella fra Judith e Worth e quella, parallela e a carattere brillante, fra Peregrine e Harriet. Worth è un buck, uno zerbinotto, come traduce il mio vocabolario di inglese, o meglio un maschio-alfa, espressione che non si usava affatto all’epoca in cui una delle Zazo tradusse il romanzo in italiano, preferendo il termine più noto dandy, che non corrisponde affatto al personaggio, come lei stessa ammette in una delle sue celebri note di costume, se non per un accenno di languidezza ostentata. Quindi la vicenda è impostata su una guerra dei sessi, come sarà poi tipico del genere, in cui Judith, una giovane donna molto volitiva e insofferente dei troppi limiti che allora si ponevano alle donne, si scontra continuamente a causa di un equivoco iniziale con Worth. Il quale l’ha incontrata per caso da sola per strada, mentre nelle vicinanze è in corso un incontro di pugilato, e per giunta vestita non alla moda, da provinciale qual è, perciò la scambia per una ragazza da poco e le fa delle avance, che arrivano addirittura a un bacio. Sarà un colpo per entrambi scoprire che sono legati in un modo che non immaginano: infatti, sulla base del testamento del padre, proprio a Worth spetta la tutela di Peregrine e Judith e l’amministrazione del loro patrimonio, finché non raggiungeranno la maggiore età.
Per la trama la Heyer si è chiaramente ispirata a Orgoglio e pregiudizio della Austen: come per Elizabeth e Darcy il primo impatto non è buono, anche se Worth ammetterà abbastanza presto, sia pure solo con se stesso, che è possibile innamorarsi in un giorno o anche soltanto in un’ora. Ma a separarli, al momento, è il legame fra tutore e pupilla, che rende illecito ogni rapporto amoroso. E quindi bisognerà aspettare il compleanno di Judith. Solo allora Worth potrà dichiararsi:
“Sciocca bambina! Vi ho amato quasi dal primo momento che vi ho vista.”
“Oh, è terribile” rispose lei sconvolta dal rimorso. ”Per settimane io vi ho odiato.”
E tutto finisce con un sorriso.
“Mi è di conforto il pensiero che il modo in cui vostro fratello ha accolto la notizia non può essere meno lusinghiero per me di quanto lo saranno, per voi, amor mio, le opinioni del mio staffiere!”
A questo punto qualcuno sente squillare un campanellino?
“Come farò a dirlo alla zia Shaw?” sussurrò, dopo un momento di squisito silenzio.
“Lascia che sia io a parlarle.”
“Oh, no! Spetta a me, ma che cosa dirà?”
“Posso già indovinarlo. La sua prima esclamazione sarà: “Quell’uomo!”“
“Ssh!” disse Margaret, “o dovrò provare a mostrarti l’espressione indignata di tua madre mentre dice: “Quella donna!”“.
Ebbene sì, è proprio quello: il finale di Nord e Sud. La Heyer ha messo insieme due autrici a prima vista diversissime: la Austen e la Gaskell!
Non che me ne sia accorta all’epoca. Naturalmente perché, per la colpevole negligenza dell’editoria italiana, non avevo ancora potuto leggere il romanzo della Gaskell.
Il dandy della Reggenza è tuttora godibile dopo oltre ottant’anni dalla pubblicazione, anche se ovviamente ha perso l’aura di novità che doveva avere nel 1935. E ciò perché è stato imitato da decine e forse centinaia di scrittrici e ha dato origine a un genere intero, per cui oggi molte lettrici Amazon, e forse non solo loro, potrebbero ritenerlo, tanto per cambiare, “banale e scontato”. Personalmente io ormai lo apprezzo soprattutto come romanzo storico. In particolare vi segnalo i due o tre episodi in cui compare Brummell, che sono stati senza dubbio di ispirazione perfino da ultimo per la Dellamore e il suo Un lord da conquistare.
Ammetto però che troppo spesso la Heyer si fa prendere la mano dalla sua tendenza alla ricostruzione d’epoca, in particolare nel pur bellissimo episodio, ambientato nel Padiglione del reggente a Brighton, dove Worth deve sventare un tentativo di violenza carnale della sua pupilla da parte del principe.
E allora qual è il problema? Troppe, davvero troppe descrizioni. E, per i miei gusti, davvero troppo lunghe.
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