Il mio primo incontro con Boccaccio avvenne nel 1967, quando ero in I liceo classico. Per la verità rimasi un po’ sconcertata leggendo, nella storia della letteratura italiana di Petronio, qualche allusione a novelle audaci. L’unica del genere che avevamo studiato era la storia di Lisabetta da Messina e audace non mi pareva proprio. Ne parlai all’intervallo con la mia professoressa e scoprii con stupore (perché erano altri tempi) che la scelta della mia antologia aveva volutamente escluso tali novelle. Solo molti anni dopo, quando già insegnavo, avrei letto per intero il Decameron, anzi, come si diceva allora, il Decamerone.

Forse per questo nel mio cuore sono rimaste maggiormente le novelle lette allora e soprattutto quelle che hanno per protagonisti Federigo degli Alberighi e Nastagio degli Onesti: in esse Boccaccio riesamina e aggiorna i precetti della civiltà medievale.

Federigo è un giovane nobile di antica famiglia, che si innamora di Giovanna, la quale però non solo è sposata, ma anche fedelissima a suo marito. Nulla riesce a conquistarla, benché Federigo cerchi di attirare la sua attenzione dando feste e tornei, secondo i principi della generosità cortese, fino a sperperare tutti i suoi beni ed essere costretto a ritirarsi in una sua piccola proprietà, vivendo dei prodotti della sua terra e della caccia che gli fornisce il suo falcone. Intanto Giovanna resta vedova con un figlio e molto ricca. D’estate va a villeggiare con il suo bambino in campagna in una tenuta che, guarda caso, è vicinissima a quella di Federigo.

Il ragazzino si ammala gravemente e vorrebbe avere il falcone che gli piace molto. Perciò Giovanna, pur titubante, accompagnata da una domestica, si invita a casa di Federigo. Per lui è una grande gioia e insieme un terribile imbarazzo, perché non ha niente in casa da mettere in tavola. Perciò per fare onore alla donna sacrificherà il falcone e solo alla fine del pranzo Giovanna scoprirà di aver mangiato l’animale in questione.

Non si sa se per la malattia o per la delusione, il bambino muore e la madre eredita tutto. Proprio perché il marito defunto le ha dimostrato il suo apprezzamento, nominandola erede in caso di morte del figlio, i fratelli le fanno pressione perché si risposi e la donna, ricordatasi del valore di Federigo e della sua magnificenzia ultima, cioè d’avere ucciso un così fatto falcone per onorarla, disse a’ fratelli: “Se a voi pur piace che io marito prenda, per certo io non ne prenderò mai alcuno altro, se io non ho Federigo degli Alberighi.”

Sposare un uomo ormai poverissimo?! È pazza? “Io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d’uomo.”

Così Federigo realizza il suo sogno più grande: sposa la donna che adora e rialza il prestigio della sua famiglia, vivendo con lei felice e contento, ma miglior massaio fatto.

Com’è noto, gli ideali cortesi scindevano amore e matrimonio e per questo Federigo non ritiene immorale e disonorevole corteggiare una donna sposata: basta pensare al precedente di Lancillotto e Ginevra. In quei romanzi il cavaliere doveva dare prova della sua superiorità con una generosità assoluta perché nulla era più riprovevole dell’avarizia. Invece Boccaccio pensa che nella Firenze della metà del Trecento non si può ignorare il buon senso, né è più possibile uccidere mostri o compiere qualche altra impresa mirabolante. La prova superata da Federigo, quindi, sarà sacrificare il suo valente falcone, e per giunta per niente. Eppure sarà proprio quest’atto nobile, anche se quotidiano, a fargli meritare la mano e le ricchezze di Giovanna. Ricchezze che non butterà più via questa volta perché l’esperienza lo ha fatto diventare un buon amministratore.

Insomma già in questa novella Boccaccio ha aggiornato i dettami della civiltà cortese nei suoi due temi più importanti: l’amore si può conciliare con l’istituzione matrimoniale, la generosità con una buona e assennata gestione del denaro.

La stessa tematica, ma con toni fra paranormale, horror e commedia, torna nella novella di Nastagio degli Onesti, che si innamora di una fanciulla Traversari, cioè di una famiglia molto più nobile e prestigiosa della sua. Come Federigo Nastagio conduce una vita sfarzosa per dimostrare alla donna amata di avere un cuore liberale e generoso, ma senza alcun risultato. Cosa che preoccupa gli amici che lo convincono ad allontanarsi da Ravenna. Un giorno, mentre passeggia pensieroso e infelice per la grande pineta, ha una visione: una donna nuda e terrorizzata fugge inseguita da terribili cani, che finiscono per farla a brani. Intanto arriva un cavaliere che le apre il petto, le strappa via il cuore  e lo dà da mangiare ai cani. A Nastagio, che, sconvolto e orripilato, vorrebbe andare in aiuto della donna, viene spiegato che i due sono anime dell’inferno: l’uomo aveva amato appassionatamente la donna, che lo aveva respinto con disprezzo ed odio e addirittura si era compiaciuta, quando lui per la disperazione si era suicidato.

È chiaro il riferimento a Dante e all’episodio di Paolo e Francesca. Ma mentre nel V canto dell’Inferno i due amanti vengono condannati per aver ceduto all’amore, qui il peccato consiste nel non aver ceduto.

Ma non è finita. Dal momento che la scena si ripete in quel luogo ogni venerdì, Nastagio (il bricconcello!) progetta di approfittarne. Quindi invita ad una festa all’aperto un gran numero di parenti e amici, e innanzitutto i Traversari, facendo in modo che la sua donna sia seduta proprio di fronte al luogo in cui avverrà tutta la scena. L’effetto è sconvolgente, anche perché molti hanno conosciuto i due dannati e assistito alla loro vicenda. Ma in modo particolare rimane colpita la superba e crudele Traversari, la quale ben capisce che l’exemplum la riguarda da vicino.

E tanta fu la paura che di questo le nacque, che, acciò che questo a lei non avvenisse, prima tempo non si vide, il quale quella medesima sera prestato le fu, che ella, avendo l’odio in amor tramutato, una sua fida cameriera segretamente a Nastagio mandò, la quale da parte di lei il pregò che gli dovesse piacere d’andare a lei, per ciò che ella era presta di far tutto ciò che fosse piacer di lui.

Alla qual Nastagio fece rispondere che questo gli era a grado molto, ma che, dove le piacesse, con onor di lei voleva il suo piacere, e questo era sposandola per moglie.

Le somiglianze con l’altra novella sono chiare: Nastagio rischia di impoverirsi e declassarsi socialmente come Federigo, ma, invece, alla fine anche lui riesce a sposare la donna che ama, facendo leva sulla propria intelligenza, dote sempre caldamente apprezzata dall’autore. Significativo il capovolgimento delle posizioni dantesche. Il tono però è giocoso (magari anche per prudenza) soprattutto nella parte finale fino alla chiusa, in cui si insinua che la scena fece effetto non solo sulla Traversari, ma anche su tutte le donne ravennate presenti, che da quel momento in poi sono molto più accondiscendenti alle richieste dei loro innamorati. Maldicenza diffusissima nel nostro paese campanilista nei rapporti fra ogni città e quella vicina.

Eppure è così che stava nascendo la nuova civiltà italiana, per più di un secolo all’avanguardia forse nel mondo, di sicuro in Europa. So bene che la lingua di Boccaccio non è di facilissima lettura per i giovani di oggi. Però il Decameron, per molti aspetti, può aiutarci a capire quali sono i tratti distintivi della nostra cultura.

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