Mi concedo il capriccio di raccontare ciò che, nel mio percorso di lettrice, ha rappresentato il ciclo di romanzi per l’infanzia di Pamela Lyndon Travers, quelli con protagonista la magica governante Mary Poppins. Libri che dimenticati certo non sono, oggetto anzi di trasposizioni teatrali e cinematografiche anche recenti, ma di cui forse si è perduto il messaggio più profondo.
Otto libri, scritti dall’autrice tra il 1934 e il 1988, narrano l’incursione innovatrice di quella tata, inflessibile e perfezionista ma di sensibilità generosa e immaginifica, nella famiglia disorganizzata e convenzionale del banchiere Banks, al mitico numero 17 di Via dei Ciliegi a Londra.
Mary Poppins non perdona e impone il proprio rigore a bambini e adulti, ma lo fa con inventiva sorridente, tale da trasformare le incombenze più odiose in giochi allettanti e avventure indiavolate. Riordinare la cameretta può diventare un passatempo irrinunciabile, se poltroncine e attaccapanni sbucano per magia dalla borsa della tata e se indumenti e giocattoli volano ubbidienti verso i rispettivi contenitori. Una banale merenda dall’eccentrico zio di Mary può trasformarsi in un evento imperdibile se il tè lo si beve a testa in giù, i piedi saldamente ancorati al soffitto e le braccia strette attorno al lampadario. E che dire della passeggiata al parco, cara a ogni buona nanny inglese, quando si muta in un vivace dialogo con le statue di marmo e gli animali che popolano viali e laghetti? Nulla è consueto con Mary, nulla è prevedibile.
Feci la sua conoscenza verso i miei dieci anni, il cofanetto delle sue avventure regalato da un’amica di mia madre che, forse un po’ magica anche lei, era la generosa latrice dei doni più azzeccati della mia infanzia. Ricordo ancora quei libri, la copertina a fondo turchese su cui Mary campeggiava attaccata al suo ombrello volante, editi forse da Bompiani perché Rizzoli subentrò in anni recenti.
Li divorai in pochi giorni, ammaliata dai personaggi che via via si aggiungevano: i piccoli Jane e Michael Banks e i fratellini John e Barbara; la mamma con i suoi primi fermenti di orgoglio femminista; il papà, algido e autoritario all’inizio e poi sempre più vicino alla famiglia; il venditore di fiammiferi Bert; l’Ammiraglio Boom e la signorina Lark; lo zio Albert; la mucca danzante e la donna degli uccelli. E per trattenerli con me più a lungo inventai una serie di rappresentazioni teatrali in cui bambole e bambolotti recitavano il ruolo dei vari personaggi.
Già quella fu una magia, anche se ancora di più lo furono alcune ‘lezioni’ di Mary, intuite da bambina e ritrovate da adulta: la capacità di immaginare, che va coltivata per addolcire la realtà, anche la più monotona e seccante, e soprattutto la necessità di mantenere aperto un canale speciale di comunicazione con la natura, che tutti possediamo nella prima infanzia consentendoci di dialogare con ogni elemento, vento o pioggia non importa, animali o piante. Lo perdiamo crescendo, distratti dai condizionamenti educativi e culturali, ma dobbiamo imparare ad ascoltare di nuovo per ristabilire la sintonia con l’universo attorno a noi.
Queste sono le ‘lezioni’ di Mary che non mi hanno abbandonato e per le quali considero i romanzi di Pamela Travers le mie prime letture di formazione.
E se ogni volta guardo con rammarico la tata che se ne va, trasportata dal vento dell’Est, so anche che il suo ritorno è sempre possibile quando desidero colorare il quotidiano con un pizzico di magica fantasia.
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