Agnese Manzo è nata nel 1960 a Torre del Greco in provincia di Napoli. Dall’inizio degli anni ’80 si è trasferita a Milano dove vive tuttora con la sua famiglia.
La scrittura di racconti e la lettura di gialli di genere classico, a partire da Agatha Christie e Ellery Queen sino ad arrivare al De Giovanni dei nostri giorni, sono  sempre state la sua passione.
La “villetta degli orrori” di Lago Patria, in cui è ambientata parte del romanzo, è realmente esistita e forse esiste ancora, e l’autrice vi ha vissuto per un breve periodo durante la sua adolescenza.

Buongiorno a tutti, mi chiamo Agnese Manzo e sono l’autrice di “Morte a Posillipo”, che come si intuisce dal titolo è un romanzo (giallo) di ambientazione mediterranea.
Ho scritto anche opere di narrativa di generi diversi dal giallo, ma Morte a Posillipo è  la prima che sia  arrivata alla pubblicazione, a cui  sono giunta partecipando a un concorso indetto  della casa editrice Libromania.
Il giallo non è l’unico genere con cui mi sono cimentata, e forse non è neanche quello che prediligo in assoluto, ma è di sicuro quello che mi è più congeniale:  vi è nel genere giallo una strada maestra che guida l’andamento della trama con mano sicura, e questa strada maestra è rappresentata dall’eterno dualismo, la sfida si potrebbe dire, tra chi indaga e l’assassino, tra il bene e il male.
Il giallo, tuttavia, soprattutto oggi raramente è solo giallo: è quasi inevitabile trovarvi ampi tratti di approfondimento psicologico, storie personali controverse, amori collaterali, vicende storiche, o anche escursioni più o meno pertinenti in quelle che sono le passioni dell’autore.
Anche Morte a Posillipo non sfugge a questa regola, e infatti prima ancora che un giallo lo si potrebbe definire un romanzo di formazione: il protagonista è infatti un quindicenne che, per citare Murakami, si ritrova ad essere travolto da una tempesta, dalla quale uscirà profondamente mutato.

Scrivere è una passione molto gratificante, quando si scrive non si è mai soli, perché  i nostri personaggi sono lì con noi. Sin dall’inizio ho sempre scritto sul mio portatile, se mi vengono in mente delle idee e in quel momento ne sono lontana, riesco comunque a tenere a mente ciò che intendevo scrivere e, una volta arrivata a casa, procedo. Se invece la lontananza è più duratura –  come mi è capitato, ad esempio, durante un viaggio in Norvegia, allora… scrivo sul cellulare e mi “auto spedisco” una mail!

Lavorando per molte ore al giorno, il tempo per scrivere è ridotto all’osso durante la settimana e trova un po’ di spazio solo al sabato e alla domenica. Mettere d’accordo lavoro, impegni familiari,  scrittura e altre passioni è un bel gioco di equilibrismo. Ho sempre scritto di pomeriggio e di sera, se non di notte. Dal 2020, entrata in smart working, ho iniziato a farlo anche al mattino, durante l’oretta di tempo che si guadagna lavorando da casa. Non è male, ma forse la sera le idee scorrono in maniera più fluida, dato che si è ormai liberi dai pensieri relativi alla giornata.

Quando inizio a scrivere un romanzo mi è già chiara la struttura principale, ma capita spesso   che in corso d’opera emergano elementi che mi inducono a cambiare prospettiva,  a stravolgere delle situazioni,  a far sì che un personaggio, inizialmente pensato come secondario, quasi di propria iniziativa esca dall’ombra e decida di farsi protagonista. Per cui, in definitiva, anche se sono partita con un progetto ben definito, alla fine la navigazione a vista prevale, proprio in funzione di quanto si  è “visto” durante il percorso.
Salvo impedimenti pratici, cerco di scrivere tutti i giorni, anche se poco. Se non sono convinta di un passaggio che sto scrivendo, so che questo rappresenterà comunque una base da cui partire per l’indomani, e non è raro che poi questo venga completamente stravolto, ma è stato comunque un mattoncino che ha contribuito al risultato finale.
Amo ciò che scrivo, in compenso, per quanto riguarda la forma non smetterei mai di correggere, limare, aggiungere o togliere. L’operazione di revisione non avrebbe mai fine, per me. Mi consolo pensando che questa caratteristica di non essere mai del tutto soddisfatti è comune a molti scrittori.

Flaubert diceva: “Madame Bovary c’est moi”. Infatti, c’è sempre una nota autobiografica,  qualcosa del nostro vissuto o  di ciò di cui siamo stati testimoni in quello che scriviamo. Nel caso del mio romanzo,  Morte a Posillipo,  la nota davvero autobiografica è la logistica: nonostante il titolo,  la vicenda si svolge in gran parte in una claustrofobica villetta diroccata che si trova sulle sponde del Lago Patria, nelle vicinanze della zona archeologica dei Campi Flegrei.  Quella villetta è realmente esistita, anche se non era nello stato di degrado di quella del mio romanzo, ed era davvero circondata da un giardino in stato di abbandono e invaso dalle canne, che si arrestava bruscamente sulle sponde del lago.
In questo luogo ho trascorso alcune settimane quando ero molto giovane, e spesso,  la sera, in compagnia di un bambino molto fantasioso, mi divertivo a immaginare storie paurose ambientate in quel giardino.

Sono sempre stata una lettrice forte, in alcuni periodi di più, in altri meno, in questa fase della mia vita leggo circa venti libri all’anno.
I miei generi preferiti sono la narrativa generale, le saghe familiari, il romanzo storico e il giallo.
Ho partecipato a un concorso indetto da Libromania, e il mio romanzo si è classificato secondo, quindi non aveva vinto la pubblicazione. Tuttavia, pochi giorni dopo l’esito della premiazione, gli esponenti mi hanno contattato proponendomi di pubblicare l’e-book. È iniziato allora un minuzioso lavoro di editing nel corso del quale ho dovuto talvolta accettare dei compromessi e alcuni cambiamenti non del tutto condivisi. Nell’insieme però posso dire di essere soddisfatta e che la casa editrice mi ha supportato abbastanza.

Nel corso di quest’anno mi sto dedicando a due progetti. Il primo rappresenta il sequel di Morte a Posillipo. Logicamente ci saranno gli stessi protagonisti, ovvero il commissario Soranno, il suo vice Claudio Giglio e il medico Francesco Floris, tre uomini circondati, come nel primo episodio, da una folta schiera di donne. Cambia però l’ambientazione, che non è più Napoli, ma Cesenatico, dove Giglio si è  recato in missione per sostituire una collega. Titolo provvisorio: Nero sarà il tuo cuore. Il secondo progetto, a cui mi dedico da anni, è un romanzo non di genere,  o mainstream. Spero di riuscire a portarlo a termine e di presentarlo ad alcuni concorsi che mi stanno molto a cuore.

Grazie a Babette e a tutti per l’attenzione.

A pochi chilometri da Napoli e dalla zona archeologica dei Campi Flegrei c’è un lago, piuttosto piccolo e quasi sconosciuto: il Lago Patria.
In una villetta cadente che si riflette nelle sue acque trova rifugio Massimo, un quindicenne in fuga:
i suoi genitori sono stati uccisi, ma nessuno li piange. Suo  padre Rocco era un boss odiato da molti, anche in famiglia; sua madre Roberta, psicolabile e depressa, sembrava da tempo predestina a una fine prematura.
Nell’elegante attico di Posillipo in cui si è consumato il delitto non si avverte  la mano della criminalità organizzata, ma l’esplosione di dinamiche familiari perverse.
Al Commissario Saranno e al suo Vice Claudio Giglio spetta il compito di scoprire cosa sia stato a mettere in moto il meccanismo che ha causato la rottura di compromessi che sembravano destinati a durare per sempre.
Un amore di Adele, forse. La bella ed enigmatica zia di Massimo, sospettata come lui dell’omicidio, dopo anni di rinunce si è concessa di vivere una breve storia. Un amore pericoloso e sbagliato, morto ancor prima di cominciare, ma che con la forza dirompente di un uragano spazza via l’equilibrio velenoso e immobile in cui la famiglia era rimasta  cristallizzata per anni.

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