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Si impara a cadere. E a rialzarsi. Anche se ogni volta è più difficile. Una storia delicata e malinconica di Emilia Cinzia Perri.
Se emigrassi su Marte sarei forse al riparo da Venere, comunque sempre troppo vicino al Sole. Quel sole che adesso entra nella stanza, illuminando il pulviscolo nell’aria.
È l’alba, è sabato, ed è l’ora del mio giro in bicicletta.
Però questa consapevolezza è inversamente proporzionale all’intenzione di alzarsi. Alice mi ha proprio messo al tappeto, mollandomi dalla sera alla mattina. Dopo una storia di appena due mesi, mi ero ritrovato attaccato a lei con una tenacia che si nutriva di falsa speranza.
Sono lento a capire, questo è il problema. Mi fingevo cigno, mentre di fatto non ero che un brutto anatroccolo. Quando l’ho scoperto guardandomi allo specchio ho capito che la verità, in fondo, l’avevo sempre saputa. Perché dunque lamentarsi, adesso?
E non voglio, infatti, lamentarmi. Voglio. Solo. Sparire. Arrendermi alla gravità che mi inchioda al letto. Raparmi a zero, fare tabula rasa di tutto, di me stesso. Continuare a morire così, sotto le coperte, senza rischiare di muovere un muscolo.
Trattengo il respiro e chiudo gli occhi, per emigrare in un altro universo. Batte nelle orecchie la pulsazione del cuore, che tra un po’ si fermerà. Come un gesto automatico, riavvolgo il nastro della mia storia vissuta…
Ero un bambino di vetro, rinchiuso nel guscio della sua fragilità. Mi sentivo malvoluto dal mondo, li avevo tutti addosso all’uscita della scuola elementare: basso, lento e con gli occhiali, la perfetta vittima designata. Se cercavo di reagire, sopraffatto dal numero e dalla forza, finivo col chinare la testa. Un giorno mi picchiavano, un altro mi facevano sparire libri e quaderni. Una volta in palestra qualcuno mi tirò una pallonata in pieno volto e si spezzò la montatura degli occhiali.
Il motivo della mia diversità era una parola difficile, che ho imparato più tardi: disprassia, o goffaggine motoria.
Plic.
La goccia d’acqua che mi raggiunge dal lavandino del bagno mi riporta, nello spazio di un istante, alla realtà.
È la goccia che buca il sasso nel deserto della mia depressione.
A sette anni non riuscivo ad allacciarmi le scarpe da solo. Scrivere risultava un’impresa difficile; non ero sicuro di quali fossero la destra e la sinistra.
I miei avrebbero voluto che facessi nuoto o pattinaggio. Avevo altro in mente e fui io a spuntarla.
Il primo giorno al dojo mi insegnano il saluto e ad avere rispetto di chi ho di fronte. L’uniforme bianca mi piace perché siamo tutti uguali e nessuno mi prenderà in giro.
Procediamo su una linea diritta cercando di non cadere; i movimenti e i passi li decidiamo noi. Poi gli esercizi ginnici: correre, saltare. Risata, saltello, saltello, capriola. Rotolarsi come tronchi, strisciare come rettili, fuggire come lepri, scattare come ghepardi.
Divertirsi come bambini. Gridare.
Plic.
Ukemi. Mi istruiscono su come cadere. Perché, ci dicono, si cade in questo sport, in continuazione. Caduta laterale, caduta in avanti, caduta all’indietro. È importante allenarsi a farlo, dobbiamo imparare a cascare senza farci male, fino a quando vinceremo la paura. Dicono che, per quanto possiamo diventare bravi e capaci, quando meno ce lo aspetteremo, arriverà… il momento della caduta.
Plic.
Cadiamo quindi, e cadiamo. Facciamo rumore, gridiamo.
Una, dieci, cento, mille cadute. Prima da soli, poi a coppia.
Uno, due, tre anni e alle medie nessuno mi prende più in giro, eppure sono ancora lento e con gli occhiali. Nella mente c’è posto soltanto per kata[i] e waza, la paura l’ho lasciata indietro. Resto sempre goffo, però so che posso migliorare. Vado avanti.
Plic.
Altri quattro anni e arriva il momento dell’incontro per la cintura. All’inizio mi sembra di muovermi bene, di proiettare l’azione dell’avversario su di me: sono pronto, sono vivo, sono all’erta. Le mani di ciascuno sulle braccia dell’altro, facciamo pressione, spostiamo i piedi, ci studiamo. Lui muove una gamba, tenta di fare leva sul polpaccio; io svicolo, cerco di sfruttare il suo movimento a mio vantaggio. Invece è lui a precedermi: con rapidità mi solleva sul dorso sicché la mia schiena, in un attimo, accarezza il suolo. Tento di liberarmi, ma è sopra di me.
Non posso muovermi, l’avversario mi ha atterrato. Sconfitto, realizzo che non avrò una seconda possibilità: l’incontro è finito e quello giù sono io e nessun altro. Vergogna, smarrimento, senso di impotenza. Ho sbagliato, ho sottovalutato l’avversario, non ho saputo prevedere la sua difesa-attacco e mi sono lasciato sorprendere.
Lento, troppo lento.
A terra trascorrono secondi lunghi come una sconfitta eterna. Non riesco a liberarmi.
Plic.
Resto disteso mentre un uomo mi sta parlando. Mi raggiungono parole importanti. Le stesse parole che mi afferrano, risuonano adesso dentro di me.
E io, come tante volte in passato, ascolto, ne capisco il significato… prima che il suono svanisca, rispondo al comando. Nasce da dentro, è un ordine interiore, imperioso e irrevocabile:
«Sì sensei, lo faccio. Ho qualche problema a schivare e bloccare, mai però a rialzarmi dopo essere caduto.»
È così che, lungo la Via Lattea, ritrovo la strada di casa: se voglio, posso tornare indietro per andare avanti.
Un respiro profondo. I miei occhi spalancati, aperti, decisi.
Una gamba, poi un’altra, ed eccomi coi piedi piantati sulla Terra.
Quando mi alzo, il letto è storia vecchia. Sotto la doccia fredda, sento acqua scorrere sul cuore sanguinante, le pulsazioni in netta ripresa.
Inforco gli occhiali e mezz’ora dopo pedalo con la solita, regolare andatura. Il mio corpo è lento, ma immette aria fresca nei polmoni e la lascia uscire, calda.
Sono anni che non pratico il judo.
[i] Le forme, dette kata, sono schemi prestabiliti di attacco e difesa nello judo. Le waza sono le tecniche, divise per tipologie (di proiezione, di controllo etc.)
Emilia Cinzia Perri vive tra Roma e Bologna e da sempre è appassionata di fumetti, cinema e letteratura. Nel 2005 vince il premio Carlo Boscarato per il graphic novel “Korea 2145”, disegnato da Enzo Troiano. Attualmente collabora con la casa editrice Kleiner Flug per i fumetti e con Lettere Animate per la scrittura di racconti. Potete trovare qualche sua opera QUI.
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