Solita avvertenza: articolo riservato a un pubblico adulto. Astenersi detrattori del genere M/M.
Anche stavolta ringrazio la gentilissima Alina Petrova per il corredo di immagini.

Nella terza puntata abbiamo svolto qualche riflessione sull’importanza del contesto, visto come un possibile discrimine per scegliere il linguaggio da adottare. Abbiamo visto che il pubblico di lettori chiede un linguaggio “idoneo”, né troppo sfumato, ma neppure troppo eccessivo.
E abbiamo sentito l’opinione di due traduttrici, ovvero di professioniste che si ritrovano a risolvere questi problemi nel quotidiano.
Oggi vi proponiamo le risposte di altre due traduttrici, partendo da Emanuela Graziani.

1) Come traduttore cerchi di rimanere aderente allo stile dell’autore (termini espliciti usati, eventuali parolacce), oppure preferisci sfumare e adottare alternative?
Cerco di rimanere fedele il più possibile al testo che sto traducendo, e non solo per quanto riguarda le scene di sesso; penso che sia importante far sentire la “voce” dell’autore, fermo restando che a volte alcuni cambiamenti vanno fatti. Cerco sempre di rispettare il “tono” del testo, quindi lascio parolacce e imprecazioni, così come i termini espliciti. Fortunatamente la lingua italiana ha parecchie alternative per esprimere lo stesso concetto, quindi si possono descrivere scene molto esplicite anche senza farle diventare volgari, cosa che evito sempre.

2) Ti sei mai trovata di fronte alla richiesta di una CE di rendere un testo più sfumato, perché altrimenti non apprezzabile dai lettori italiani?
Non ho mai avuto richieste così specifiche, no. La richiesta della CE è quella di rendere il testo straniero fruibile per un pubblico italiano, ovviamente, e anche qui non parlo solo delle scene di sesso. Mi spiego: sembra banale dirlo, ma ogni scena è diversa dall’altra. Non edulcoro mai i toni, se una scena è forte tale  rimane, se è soft anche, gioca un ruolo importante la scelta dei termini perchè magari alcuni di quelli usati in inglese da noi non andrebbero bene per svariati motivi. Quello che faccio è tradurre la scena nel miglior modo possibile, assicurandomi che sia comprensibile e godibile a  livello “visivo” diciamo così.

3) Ci puoi dire un autore MM che consideri particolarmente hot e dettagliato, e uno che ritieni più soft, che ti sei trovata a tradurre?
Tra i più hot che ho tradotto ci sono sicuramente L.A. Witt, con “Legato” in cui si trattava il tema del BDSM e la Sexton con “Liberazione” in cui ci sono scene parecchio forti, anche di abusi. Per le scene più soft direi N.R. Walker in “Cuore di terra rossa“, non che le scene che ho tradotto non fossero hot ma le ho trovate particolarmente dolci e delicate per la situazione che stavano vivendo i protagonisti.

4) Come lettore, invece, cosa preferisci? Il non detto ma intuibile o il linguaggio sottolineato e anche udibile (oh, siiiiiiiiiiiiiiiiiiii)?
Beh, non nego che una bella scena di sesso non mi dispiace affatto, anche se non gradisco molto troppi “Oh sìì” “Ancoraaa” e via dicendo. Il giusto. Poi, dipende anche dal testo. Quando la storia è forte e riesce a prenderti e a trascinarti nelle sue atmosfere, nello struggimento dei protagonisti e delle loro vicende, anche il non detto mi va più che bene, e non sento la mancanza di scene esplicite. Penso per esempio a “Spietati gentiluomini“, di Ginn Hale, e a “Lame spezzate“, di Voinov-Witt,, due storie bellissime in cui a volte le scene di sesso tra i protagonisti vengono lasciate all’immaginazione, ma i sentimenti in gioco e l’ambientazione sono così vivi e ben strutturati che non se ne sente la mancanza.

5) Secondo te attualmente hanno più successo i testi espliciti o quelli più sfumati?
Di sicuro un testo esplicito ha una presa più immediata su chi legge; il piccante piace, inutile nasconderlo. Ma è come dicevo prima, se la storia che racchiude il poco sesso, o rapporti magari solo accennati, è forte anche da sola e ben scritta, non se ne sente la mancanza e viene apprezzata molto anche dal lettore.

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Abbiamo tenuto per ultima l’intervista più laboriosa.
Martina Nealli è un “osso duro” per chi prova ad intervistarla (sia inteso in senso assolutamente affettuoso), per cui, prima di accettare le domande di rito, ha voluto svolgere una debita premessa sul lavoro stesso di traduttrice.
Ho deciso di riportarla tutta, perché secondo me contiene osservazioni molto interessanti, e che possono essere utili ai fini della nostra (non pretenziosa) riflessione virtuale.

“Partiamo dal presupposto che ho sempre visto la traduzione un po’ come… un’operazione di prestito a livello lessicale. Come dire che il traduttore ha accesso a questo testo, questo oggetto “straniero”, e per renderlo accessibile deve applicarci sopra tutta la propria conoscenza linguistica, deve prestare le proprie parole (e strutture sintattiche) al testo originale. Come dire… un pittore, a cui fanno vedere una fotografia su pellicola, e gli dicono “rifalla con le tempere, e rifalla in modo che chi la guarda veda quello che hai visto tu”. Per (troppo scarsa) esperienza lavorativa, non ho mai avuto nessuno che mi dicesse “rifalla, ma cambia i colori perché la vogliamo sul blu”, o che ne so. Non dubito che succeda o possa succedere, ma per me non è mai stato così: il mio obiettivo è stato sempre quel “così che gli altri possano vederla come la vedi tu” – il che è una forma di interpretazione, ma non ci rientrano logiche di mercato per cui si sfuma o si rende più esplicito un testo.
Insomma, se c’è manipolazione da parte mia, non è mai consapevole perché miro solo all’originale ^^. (Se c’è una manipolazione di cui io – e penso tutti i traduttori di letteratura di genere – sono consapevole è quella che rifinisce/migliora l’originale – sfoltisce le ripetizioni, rigira le frasi troppo contorte ecc ecc. Ma non ha niente a che vedere col mercato o con lo sfumare/esplicitare un testo. È più quello che fa l’editor sul testo italiano, ed è un problema che dipende dal fatto che non sempre traduciamo libri editati a dovere. È un tema molto spinoso).
Premessa fatta, vediamo di rispondere XD.”

1) Come traduttore cerchi di rimanere aderente allo stile dell’autore (termini espliciti usati, eventuali parolacce), oppure preferisci sfumare e adottare alternative?
Beh, ehm, penso si evinca già che cerco di rimanere aderente allo stile originale. Ma proprio perché non ho gli strumenti, non ho le competenze per fare ragionamenti diversi. Se un autore scrive in un certo modo, e questo modo non funziona in italiano, non è affare mio. Magari, se fossi un editore, sceglierei di non tradurre un libro che non funziona (penso sia meglio non tradurlo, piuttosto che tradurlo e tradirlo), ma da traduttrice, certe considerazioni spettano solo al committente. Precisazione, però: soprattutto nella narrativa di genere (come il M/M), il traduttore dovrebbe tener presente che la cosa a cui rimanere fedeli/aderire non è certo (come ho visto fare) la frase, la formulazione sintattica, le *parole*, bensì l’effetto che queste producono sul lettore anglofono. Può essere diverso in poesia, o nei testi con tante figure retoriche, ma nel M/M nel 90% dei casi non ci sono “stili” particolari da salvaguardare. Sono scritture semplici, che puntano a) a raccontare una storia e b) a suscitare qualcosa nel lettore.
Faccio un esempio, così magari mi si capisce: mi è capitato di tradurre frasi che in originale contenevano parolacce in un italiano senza parolacce, perché nel contesto non erano necessarie e anzi sarebbero risultate più volgari del testo originale. Nella serie Cop Out di KC Burn (ce l’ho presente perché ho da poco finito il secondo, e mi ricordo distintamente che avevo fatto la stessa cosa nel primo) ci sono un sacco di “fuck” intercalari che in italiano proprio non ci stavano. Ma l’effetto complessivo è conservato.
Penso che se una traduzione, nel tentativo di aderire all’originale, diventa più volgare/sconcia/spinta – ossia suscita nel lettore un effetto diverso da quello del lettore anglofono di fronte al testo originale – allora il traduttore ha smarrito la bussola. (A meno che, ovviamente, non ci siano *altri* elementi da valutare – figure retoriche ecc.)

2) Ti sei mai trovata di fronte alla richiesta di una CE di rendere un testo più sfumato, perchè altrimenti non apprezzabile dai lettori italiani?
“Più sfumato” no, ma mi è capitato che mi venisse chiesto di non utilizzare certe parole in ambito sessuale.
Indicazione che rispetto, ma non condivido (per tornare alla similitudine di prima, è come se al pittore dicessero: tu dipingi boschi di pini, quindi ecco, puoi utilizzare tutte le sfumature di verde, di marrone, di giallo e di grigio, ma non toccare il blu, perché non fa per noi. Mi viene da rispondere: tu lasciami la tavolozza completa; se poi il blu non serve, stai tranquillo che non lo userò).

3) Ci puoi dire un autore M/M che consideri particolarmente hot e dettagliato, e uno che ritieni più soft, che ti sei trovata a tradurre?
Domanda critica @_@
Il testo che mi ha richiesto più lavoro con il lessico sessuale è indiscutibilmente Chissà dove, di Heidi Cullinan. Perché è dettagliato, ma anche coinvolgente e… pregno di significato.
Diciamola così: quando sono arrivata a tradurre Chissà dove, provenivo da tante traduzioni anche molto esplicite a livello sessuale, ma un po’… retoriche. E per retoriche intendo vuote. Scritte per titillare, per eccitare – il che va benissimo! quando funziona è fantastico! – ma anche piene di immagini, di una certa… non mi viene un termine migliore di “retorica del sesso”. Espressioni ricorrenti, un certo modo di organizzare sintatticamente la frase, un attingere a piene mani al repertorio, una “normalità” di fondo. Che non è più semplice da tradurre, e nemmeno vuol dire che scrivano tutti allo stesso identico modo, ma… per un traduttore, si tratta di punti un po’ meccanici. Una volta che capisci come funziona, che sai (più o meno) quali parole/formulazioni sintattiche/ecc. avranno in italiano la stessa resa dell’originale, diventa un gioco di “segui il testo e sta’ attenta alle ripetizioni”. Chissà dove era diverso. Non conteneva quelle stesse immagini, quella stessa meccanicità: era estremamente spinto, ma le parole recavano una forza particolare. Non è sessuale, ma per esempio, un termine come “beautiful”, che di solito negli M/M compare spesso e volentieri ed è solo uno dei diecimila milioni di aggettivi positivi per definire l’uno o l’altro protagonista, in Chissà dove era proprio… “bello”. Mi ricordo che mentre lavoravo pensavo continuamente a questa cosa, al fatto che le parole volevano veramente dire quello che volevano dire, che erano cariche e pesanti. Che se era “beautiful” non potevo mettere qualcosa che non fosse “bello”, perché “bello” doveva essere – pulito, netto, pieno del suo significato. E considerato che vedo la traduzione come un prestito, fu un’esperienza rinfrancante poter utilizzare le parole per quello che sono – “prestare” le mie parole a un testo che le valorizzava, che non le usava a sproposito. Per tornare alla sfera sessuale: un’altra cosa che ricordo di aver fatto è stato, a un certo punto, ricalibrare tutti i dialoghi durante il sesso – il “dirty talking” – sulla mia esperienza e sensibilità. La prima idea di traduzione non mi soddisfaceva, andava di nuovo a pescare alla retorica, al già detto e al già sentito; così mi dissi “se fossi tu, cosa ti farebbe eccitare? Quali parole? Quali frasi?” e così ho bypassato il problema. Lo stesso uso del termine “porco”, che è ricorrente, deriva da questo (non l’avevo mai usato in una traduzione e non penso di averlo mai usato nemmeno dopo, ma lì ci stava. Era giusto. Funzionava – funziona ancora, per me).
Motivo di crisi: se Chissà dove è un buon esempio di testo super-spinto, non riesco a trovarne uno di testo soft (il che mi fa piangere della mia vita…).
Hot Line (il libro lesbo di Alison Grey) e Uno stregone a Waikiki, di A. J. Llewellyn, sono libri in cui secondo me le scene di sesso risultano distaccate rispetto alla narrazione – come se si facesse un passo indietro e si sospendesse il sentimento, come se in quel punto si fosse meno coinvolti. Però potrebbero essere percezioni mie fallaci, e comunque non vuol dire che non siano esplicite. Forse Voinov è più sfumato? La questione è controversa. Più che sfumato, è essenziale: non ti mette una parola in più dello stretto indispensabile. È una lingua affilata, in cui logicamente non c’è spazio per la retorica, ma ci possono comunque essere molta precisione e dovizia di dettagli. Diciamo che non racconta mai il sesso azione per azione, ma racconta “la scena” nel suo complesso tagliando tutto il superfluo. Non sbrodola. Ad esempio, in Incursion, di Aleksandr Voinov, *se non ricordo male* la penetrazione non viene nemmeno raccontata espressamente come tale (anche perché la scena è filtrata dal punto di vista di Kyle e della sua sensibilità ridotta); in Capitale investito, sempre di Aleksandr Voinov, le scene di sesso luuuunghe e super-eccitanti sono quelle con Alec, perché sono gioco e manipolazione, e quindi ha senso sapere esattamente cosa succede, mentre quelle con Francis sono molto più abbozzate. Okay, una volta è ubriaco, le altre due è una cosa rapida, ma non c’è il dettaglio titillante, non te le racconta per filo e per segno, non indulge, non viene dietro alla morbosità del lettore. Quello serve, e quello descrive. Ci sono altri libri suoi, inediti in Italia, che sono erotici e in cui quasi tutto si svolge sotto le lenzuola, e lì sì che i dettagli aumentano, che c’è la descrizione per filo e per segno… però sempre senza retorica. È un modo completamente diverso di narrare. (Accidentalmente: le scene di sesso, negli M/M, sono le parti più difficili da tradurre, per una serie di motivi anche “tecnici” che non sto a spiegarti; ma nei libri di Voinov, sono le parti più facili. Devo ancora capire se è solo perché finora di suo ho tradotto tutta roba che mi faceva sclerare, per cui quando arrivavo al sesso era tipo “yeeeaaahhhh questo lo so fare!”, o se c’entri anche il fatto che ha questo stile diverso. Tradurre Voinov, o qualsiasi autore meno retorico, mi risulta sempre più facile e rinvigorente.)
Ma perché mi hai chiesto di Voinov? Lo sai che potrei andare avanti a scriverne per due ore, maledizione X°D Tu come lo consideri? In che categoria volevi metterlo?

4) Come lettore, invece, cosa preferisci? Il non detto ma intuibile o il linguaggio sottolineato e anche udibile (oh, siiiiiiiiiiiiiiiiiiii)?
Ehm… non essendo in origine lettrice di romance, non ho “bisogno” della scena di sesso per sentirmi appagata, quindi voto per il non detto. Le scene di sesso le capisco quando quello che succede al loro interno è essenziale per la narrazione, altrimenti per me si potrebbe sorvolare. I dialoghi nel sesso, gli “oh, sì, vienimi dentro” e compagnia bella li trovo particolarmente comici e più di una volta mi hanno spinto a posare il libro/saltare pagine (se cominci a ridere durante il sesso… il famoso “effetto” a cui facevo riferimento è andato per sempre XD). Per assurdo, preferisco le scene di sesso di alcuni libri classificati come “erotici”, perché in genere lì il sesso è tutto, e serve come cornice per l’evoluzione psicologica (se c’è). Insomma sono una alla “non mi menate il can per l’aia”.

5) Secondo te attualmente hanno più successo i testi espliciti o quelli più sfumati?
La sensazione è che vadano di più quelli espliciti, però in realtà non lo so. Mi è capitato anche di recente di leggere recensioni di M/M dove il sesso è sublimato (tipo la telecamera che si sposta sulle tendine svolazzanti) e mi è parso di percepire una certa insoddisfazione. Ma potrei sbagliare e potrebbe semplicemente essere un problema di cagnara ( = le fan dell’esplicito che fanno più casino delle altre). Posso dirti che nel mondo degli yaoi, che conosco meglio in termini di vendite, il manga soft, delicato, senza scene di sesso esplicite, funziona bene, finché la trama è bella e coinvolgente. Ma del resto è un mercato più maturo di quello degli M/M.

***

Sin qui molta carne (polposa) è stata già messa sul fuoco.
Io direi di cuocere il tutto a fuoco lento, di meditarci su, e poi di proseguire con le prossime puntate del nostro viaggio. Se ricorderete – prima di poter fare qualche bilancio – dobbiamo sentire ancora gli autori e gli editori.
A presto.

Immagine: Zefiro e Giacinto (Museo delle Belle Arti, di Boston).

OoO

LARA HARALDS