Non ingombrare, non essere ingombranti: è l’unica prospettiva che si possa contare fra quelle positive, efficaci, forse anche moralmente e politicamente buone. Gabriele Romagnoli ha avuto modo di pensarci in Corea, mentre era virtualmente morto, chiuso in una cassa di legno, per un bizzarro rito-esperimento. Nel silenzio claustrofobico di quella bara, con addosso solo una vestaglia senza tasche (perché, come si dice a Napoli, “l’ultimo vestito è senza tasche”), arrivano le storie, le riflessioni, i pensieri ossessivi che hanno a che fare con la moderazione. Il bagaglio a mano, per esempio. Un bagaglio che chiede l’indispensabile, e dunque, chiedendo di scegliere, mette in moto una critica del possibile. Un bagaglio che impone di selezionare un vestito multiuso, un accessorio funzionale, persino un colore non invadente. Il bagaglio del grande viaggiatore diventa metafora di un modello di esistenza che vede nel “perdere” una forma di ricchezza, che sollecita l’affrancamento dai bisogni, che non teme la privazione del “senza”. Anche di fronte alle più torve minacce del mondo, la leggerezza di sapersi slegato dalla dipendenza tutta occidentale della “pesantezza” del corpo, e da ciò che a essa si accompagna, diventa un’ipotesi di salvezza. Viaggiare leggeri. Essere leggeri. Vivere leggeri. Gabriele Romagnoli centra uno dei temi decisivi della società contemporanea e della sopravvivenza globale e scrive una delle sue opere più saporite, il racconto di una rinascita, di un risveglio.

Titolo: Solo bagaglio a mano.
Autore: Gabriele Romagnoli.
Genere: Saggio.
Editore: Universale Economica Feltrinelli.
Prezzo: euro 6,99 (eBook); euro 8,95 (copertina flessibile).
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Splendido “manuale/non manuale” di resistenza in vita?
Romanzo para-autobiografico sulla bellezza del vivere leggeri, senza zavorre (fisiche e mentali)?
Saggio sulla condizione umana nei quattro angoli del mondo (Romagnoli è giornalista “cosmopolita”)?
Forse tutto quanto sopra ma anche di più.
Leggerlo è stato come star ascoltando un amico saggio che “te la conta” e che cita en passant fatti e personaggi storici e non storici (ordinary people, direi) con un linguaggio piano e accattivante, da giornalista che vuol farsi capire.
Ho massimamente apprezzato alcune digressioni linguistiche, alcune spiegazioni giuridiche (concetto di proprietà vs possessor, ad esempio), la “cornice” del libro: un esperimento paramortuario in una bara in Korea.
Una cornice che si “dimentica” (e quindi non claustrofobica) dopo le prime tre pagine.
Riappare alla fine per… chiudere il quadro.
Libro da leggere e rileggere per la sua profonda… leggerezza!

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