Quello che sulla Terra sapete. L’ho letto, sono sopravvissuta (capirete poi perché) e lo sto commentando, ma…
Prima di cominciare a scrivere questa recensione vorrei che vi prendeste del tempo, giusto un attimo, per andare sul profilo dell’autrice, Federica Soprani, e cominciaste a spulciare le sue foto, ma anche in generale le cose che pubblica. Non per semplice voyerismo, sia ben inteso, ma per farvi un’idea. Un’idea di quale caleidoscopio di emozioni e sensazioni contrastanti sia in grado di personificare questa pazza geniale che confeziona libri dall’aldilà (sì, sì, proprio aldilà) proponendoli a noi plebe. Oh, ragazzi, statemi a sentire: io sono una zappa in tante cose, e davanti a chi scrive come Iddio comanda non è che bisogna andare tanto per il sottile. Qui non si tratta di idolatrare o prostrarsi ai piedi di Tizio o Caio, qui si tratta di riconoscere la bellezza quando hai a che farci.
Ora, io della Soprani avevo letto qualcosa, non molto (purtroppo le mie giornate sono fin troppo affollate e non riesco davvero a leggere quello che vorrei… Non è ancora il momento di stringere patti alla Faust, per me, ho tanto da fare prima di vendere l’anima…), ma da quello che ero riuscita a mangiare avidamente con occhi e cuore (riscontrabile sempre sulle pagine del blog di Babette) mi aveva affascinato. Ciò che avevo letto, è vero, faceva parte di una favolosa collaborazione tra Federica e Vittoria Corella, ma là “ndo coji coji”, vai sul sicuro. Qui le cose cambiano, ma non tantissimo: si tratta di tematiche differenti, ma con una scrittura sublime alla stessa maniera. Quando uno è genio, è genio.
Insomma, esce questa piccola e preziosa antologia di cinque racconti e la Soprani mi dice: “Se sopravvivi, mi fa piacere se la leggi”. Detto tra noi, l’ho spinta io a rivelarsi, perché lei non è persona che prende e va a questuare in giro per una lettura. Ha troppa classe e intelligenza. A me, però, quel “se sopravvivi” mi ha messo un’ansia che non avete idea. Io adoro gli storici, sia chiaro, e la conoscevo come autrice, come ho già detto, però… ecco… un attimo di tedio quando ho visto la copertina m’è preso. Non mi fa impazzire, ma mai come questa volta devo ammettere che l’abito non fa assolutamente il monaco. Magari un’immagine più evocativa avrebbe potuto aiutare a sollevare la tunica all’omino e farci sognare un ciccinin (non in senso sessuale, ragazzi, sempre prevenuti… Intendevo la questione onirica dell’immaginare… vabbe’, lasciamo perdere.)
Insomma, prendo e mi metto sul divano, Castle sulle destra (quando Marito non c’è, il gatto ribattezzato Tom balla) e kindle tra le manine. E di colpo non ci sono più. Vengo proiettata in una faida tra fratelli dopo le prime quattro pagine, osservando inerte l’amore egoistico di due anime corrotte, dimenticando il tempo e lo spazio, dimenticando perfino che a narrare non è una persona emersa dagli abissi del passato, ma sempre la Soprani (ve l’ho detto: è un genio).
In due secondi finisco quella storia e mi immergo nelle stanze dell’amata Lizzie, con l’assurda capacità di vedere e sentire ogni cosa di questa figura, struggendomi per i sentimenti di un individuo così insospettabile da lasciare a bocca aperta. E via, poi, con la pestilenza veneziana (descritta in maniera sublime) e l’amore per quel ragazzo etereo dai capelli fiammeggianti e l’ugola perfetta, con il rispetto fanciullesco di Tosca che rasenta la “cotta”, con un amore confinato eppure così vasto da valicare ostacoli e vita, addirittura.
Mi ero ripromessa di non essere aulica, di non cedere alla tentazione di adottare un po’ del linguaggio bellissimo del narratore, ma non ci sto riuscendo molto bene. L’ho fatto e pensato (e portato avanti finché non ho iniziato a parlare dei racconti, porcaccia la miseria) per un motivo ben preciso: tutti devono leggere queste perle, non solo chi crede di capire, non solo chi adora determinati contesti. Oggi i racconti non vengono letti, e in caso contrario sfilano su piattaforme generaliste e piene zeppe di “sfonnoni” che neanche agli anni delle medie. Ora, sarebbe il caso di riprendere un attimo contatto con il bello? C’era un signore, si chiamava Oscar, che con il concetto del “bello” ha scritto e riempito libri meravigliosi: non aveva torto. Non aveva torto e, viva Iddio, c’è qualcuno che ha recepito il messaggio!
Dunque… torniamo a noi.
Quanti hanno amato Orgoglio e pregiudizio? Tanti, lo so, perché Darcy imperversa ancora adesso. Vedo cricche e cricche di austeniane divorate dall’adorazione. Bene: chiunque ami Darcy deve leggere questa raccolta.
Quanti hanno amato Cime tempestose? A giudicare dalle varie (e vari, non prendiamoci in giro) Heathcliff sparsi per Facebook, immagino siano ancora in tantissimi. Ok: devono assolutamente leggere questa raccolta. E proprio in Cime tempestose, in effetti, si ritrova gran parte della tematica ricorrente in queste pagine di Federica Soprani, trovando nel protagonista trovatello e sfortunato l’ispiratore, musa e raccordo di qualsiasi emozione derivante dall’amore più puro, più sincero, più struggente e vissuto. Quello che in “Quello che sulla Terra sapete” trova terreno fertile per rotolare tra occhi e lingua, lacerando ogni sintomo di bruttezza, riempiendo cuore e stomaco di un’emozione pungente che facilmente mette radici, fiorendo.
Cinque stelle piene e l’imperativo: leggetelo!
Titolo: Quello che sulla Terra sapete: Gli amori impossibili durano per sempre. Dodo Books, Volume Primo.
Autrice: Federica Soprani.
Genere: Narrativa italiana. Antologia di racconti.
Editore: Il Vento Antico.
Prezzo: euro 2,15 (e-Book); euro 5,49 (copertina flessibile).
Quello che sulla Terra sapete è un viaggio.
Bisogna accomodarsi, magari sulla prua di una nave, e lasciarsi trasportare.
Ne vale la pena.
Musica, pittura, scultura, intelligenza, cultura e soprattutto amore.
Vivere, tra mondi reali e non, scorrendo la linea del tempo insieme alle storie struggenti dei personaggi.
Tancredi e Diana, “signori di Malombra, possessori di immensi terreni ammantati dall’argento degli uliveti, dall’oro degli agrumeti, smaltati dal mare di lapislazzulo e incoronati da foreste di smeraldo”.
Le note di canti barberi che escono sublimi dalla gola di Fenice, l’Angelo di fuoco: “la sua voce era ora una frusta, ora un velo color zafferano, ora una folata di vento”, una voce ammaliante tra le calli veneziane.
Lizzie: “che tu fossi bella è un dato di fatto, come il verde dell’erba e l’azzurro del cielo”, la ragazza “docile capriccio di un pittore” a cui dedicherà il suo amore passionale, sacrificando quello di chi, invece, l’avrebbe amata davvero.
Un sogno, vissuto tra le pareti ruvide di un carcere e infine, il dolore di un professore inglese e del suo amore “rispedito al mittente”, che trova la sua conclusione al Passo Del Cavaliere, davanti al mare.
“Aveva capito che l’amore non aveva bisogno di essere corrisposto per essere amore.”
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