I duri non ballano (Tough Guys Don’t Dance) è un romanzo scritto nel 1985 dallo scrittore e regista Norman Mailer.

Nella città di Provincetown, nel Massachusetts, lo scrittore Tim Madden, al risveglio dopo una sbornia, trova due teste tagliate di donna nel posto dove tiene nascosta una scorta di marijuana.
Si ritrova così costretto a compiere un’indagine privata per giungere alla verità, nel corso della quale si ritrova invischiato in un piccolo mondo di mostri grotteschi, ex pugili, pervertiti sessuali, medium e informatori più o meno attendibili.

Nel 1987, lo stesso autore del romanzo, ne trasse il film omonimo con Ryan O’Neal e Isabella Rossellini.

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A volte, mi prende l’improvviso istinto di leggere letteratura ed è successo quando ho messo gli occhi su questo libro in un banchetto dell’usato. Norman Mailer è uno dei grandi della letteratura americana e questo romanzo si presenta come un thriller, quindi ho deciso di comprarlo e leggerlo quasi subito. La scelta è stata infelice. Mi sono trovata in mano un testo assolutamente inadatto ai miei gusti.
Il protagonista è uno scrittore, da poco lasciato dalla moglie, che dopo una notte di sbornia si trova a doversi districare tra vistose tracce di sangue e cadaveri con teste mozzate. Lui non ricorda nulla. È un assassino, oppure qualcuno ha cercato d’incastrarlo?
Questa trama, che appare intrigante, seppure non nuova, viene sviluppata con uno stile molto particolare. Il protagonista racconta in prima persona quanto è successo e lo fa con un continuo lavoro di introspezione. Analizza ogni suo comportamento, ogni pensiero, ogni sfumatura. Analizza, analizza, analizza. Scarnifica gesti, eventi, emozioni. Viviseziona se stesso e tutti coloro che lo circondano. Racconta il suo rapporto con l’alcool, la droga, il sesso, comprese inconfessabili pulsioni omosessuali. Tutto questo all’interno di una società, quella americana degli anni ’80, che si trova in bilico tra un’omofobia radicata nel passato e le prime rivendicazioni sui diritti dei gay. Malgrado le tematiche interessanti, la continua introspezione mi ha reso pesantissima la lettura. La narrazione subisce continue digressioni poiché, ogni volta che un nuovo personaggio entra in scena, il protagonista ce lo fa conoscere osservando al microscopio ogni suo gesto; e questo succede anche con i luoghi, che vengono scandagliati in ogni loro aspetto, passato e presente. É stata una lettura estremamente faticosa e poco appassionante. Arrivata a metà ho pensato seriamente di abbandonare il libro, ma ho resistito perché, trattandosi di un thriller, volevo conoscere il colpevole. Una motivazione molto banale, e di certo ingiusta, per un libro che cerca di sviscerare le pulsioni nascoste di una società bigotta e al contempo dedita a soddisfare ogni suo più sfrenato desiderio.
Non lo consiglio né lo sconsiglio. Ognuno decida in base alla propria indole, sensibilità o propensione alla scoperta. Ho solo voluto condividere la mia esperienza. Credo valga la pena, ogni tanto, uscire dalle proprie confortevoli abitudini ed esplorare cosa offre l’infinito mondo dei libri.

I libri di Fernanda Romani