Mestiere difficile quello del narratore. Sin dalla scelta del nome con cui firmare i propri lavori. Soprattutto per chi affronta generi non tradizionalmente legati alla produzione italiana come il Giallo e lo Spionaggio.

Quando cominciai a pubblicare lo feci con il mio nome ma in breve, visto che la mia produzione si era orientata verso il filone della spy story, che generalmente era appannaggio di autori stranieri, si pose il problema di come firmare il mio lavoro. C’era poi il problema della prolificità che, per un italiano, curiosamente era considerata quasi un difetto. Di regola avrei dovuto scrivere un romanzo all’anno, magari in quel filone che detesto (il giallo mediterraneo con commissari depressi e gourmet che vivono storielle senza grande costrutto ma pesantemente calate nella nostra realtà). Niente da dire, ma non era la mia strada. All’epoca, quando mi fu chiesto di realizzare una serie nuova per Segretissimo che seguisse con qualche variante le orme di SAS, mi fecero notare che il pubblico delle collane da edicola era esterofilo e che, con il mio nome, non avrei avuto successo. Per la verità il problema si era posto prima con Pista cieca che uscì negli Oscar e altri romanzi pubblicati dalla Garden.

Insomma… ‘tu vo’ fa’ l’ammericano’. Un po’ è vero. Il mio modo di pormi davanti a questo lavoro, con orgoglio, non era italiano perché i miei modelli erano stranieri. Insomma mi sentivo vicino (scusate l’ardire) a Salvatore Lombino che di pseudonimi ne aveva moltissimi dagli anni ‘50 persino in America che era il suo paese. Chi era costui? Ed McBain, grande maestro. Così nacque Stephen Gunn, che era parente di James Gunn e soprattutto di Ben Gunn… Non posso dire che fu una scelta sbagliata. Senza discutere dei meriti del Professionista, credo che se dopo 25 anni è ancora qui un pochino sia stato merito dello pseudonimo anglofono che magari aiutò i lettori più diffidenti a superare una soglia e a leggere il libro.

Certo adesso tuti lo sanno che sono io. Per questo sia nel Giallo dove firmo storie tipicamente italiane che in queste nuove fasi di Segretissimo (Montecristo riproposto finalmente nella collana dove avrebbe dovuto andare sin da principio perché è una storia di spionaggio, internazionale e non solo italiana), ho scelto di farlo con il mio nome. Una scommessa che gioco con la giustificata speranza che il mio pubblico mi segua e che quello nuovo provi almeno a leggere queste storie.

Per quel che riguarda i giovani autori, soprattutto su Segretissimo, non so cosa consigliare loro, però, se per vincere una iniziale diffidenza e raccontare le loro storie (che è sempre la cosa più importante), magari devono venire meno all’orgoglio… Insomma ognuno deve fare la sua scelta, purché sia convinto. Perché, alla fine, lo stimolo a scrivere, a narrare è sempre più forte di qualsiasi ambizione di avere il nome in copertina. Questo sì, è un dono che non tutti hanno e che va coltivato in ogni modo. Cosi è, se vi pare…

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