«Ci sono i due vampiri da intervistare. Chi mandiamo?»
«Un nome a caso? Babette…»
«Perché proprio lei? Vecchietta, sovrappeso… La divoreranno in un baleno.»
«Ha preso a ombrellate Raistan l’ultima volta.»
«Ah.»
«Già.»
«Mandiamo lei.»
«Mandiamo lei.»

Babette Brown uscì dall’ombra fresca dell’ingresso condominiale e alzò lo sguardo al cielo, con espressione dubbiosa. Il cielo era un mosaico azzurro frantumato dalla fitta trama di rami degli alti tigli che piantumavano il viale, poco trafficato a quell’ora del mattino. Il meteo aveva previsto pioggia, ma, come spesso accadeva, non ci avevano azzeccato per nulla. Complimenti, forse un mago con la palla di cristallo avrebbe saputo fare meglio di quei cervelloni del Centro Meteorologico dell’Aeronautica Militare. Fu tentata di tornare in casa e lasciare l’ombrello, ma Bonnie accanto a lei non sembrava affatto intenzionata a ritardare anche di un solo istante la passeggiata mattutina. Babette incontrò lo sguardo adorante della cagnetta e con un sospiro si diresse verso il cancello e uscì sul marciapiede. Alla fine, era sollevata che fosse un’altra bella giornata. Pochi passi e avrebbero raggiunto gli amici canari da Giolitti; lei avrebbe fatto colazione con cappuccino e brioche – alla faccia della dieta, almeno una gioia quotidiana doveva permettersela! – e il suo cane avrebbe scambiato convenevoli con i suoi simili, aspettando i bocconcini che qualcuno immancabilmente avrebbe passato loro. Poi una bella passeggiata lungo i vialetti che costeggiavano il lago, tra il latrare festoso dei cani e lo starnazzare delle papere indaffarate, e poi a casa, a nutrire i tre gatti e a mettersi al lavoro sul blog. Si prospettava una giornata piacevolmente piena.
Attraversò la strada con cautela. Bonnie faceva del suo meglio per trattenere la propria irruenza, ma era pur sempre un cane giovane ed entusiasta, e lei faticava un po’ a ottemperare alle sue esigenze.
Raggiunta l’erba sull’altro lato della strada, dopo la prima pipì divenne più facile gestirla. Giolitti sorgeva a pochi metri da casa, una vera fortuna. Da anni era diventato il punto di ritrovo per lei e gli amici che abitavano il quartiere, soprattutto i padroni di cani, non solo per il rito mattutino della colazione, ma anche per qualche occasionale pizzata serale nell’ottimo ristorante. Di solito a quell’ora il locale era poco frequentato. I bambini erano a scuola, e sarebbero sciamati nel parco solo nel pomeriggio, e gli irriducibili sportivi che frequentavano la riva del lago erano troppo impegnati a correre o a fare canottaggio per perdere tempo con paste e cornetti. Peggio per loro, pensò Babette con uno sbuffo.
Le parve strano che non ci fosse nessuno degli amici canari fuori dal locale. Di solito si ritrovavano lì, all’ombra dei cedri del Libano, e poi entravano tutti insieme, una truppa eterogenea con più zampe che arti. Controllò l’ora e si risentì un po’ perché non l’avevano aspettata. Avranno avuto le loro ragioni. Colmò la distanza che la divideva dall’ingresso rivestito da una rigogliosa cascata di rampicanti di un verde brillante e gettò un’occhiata oltre la porta a vetri. Proprio in quel momento un raggio di sole la colpì in pieno, rendendo confusa la visuale dell’interno, e nello stesso tempo un tuono rotolò in lontananza. Babette si voltò a guardare il cielo, stupita. Vuoi vedere che al Centro Meteorologico avevano tirato fuori la palla di cristallo?… Spinse il battente ed entrò.

Il suo primo pensiero fu del tutto irrazionale. Quando avevano cambiato il colore delle pareti da Giolitti? E da quando c’era quell’enorme lampadario di cristallo nero che si allargava come una ragnatela traslucida sul soffitto?
Fu solo un attimo. Non potevano aver ridipinto tutte le pareti nell’arco di una notte, e certo non di rosso, ma soprattutto non avrebbero potuto modificare la forma della sala principale del bar, che era sempre stata a base rettangolare, con la vetrina dei dolci e delle paste sul lato sinistro e il bancone del bar sul destro. La stanza in cui si trovava non aveva lati, perché era circolare, e di certo non aveva vetrine di paste né un bancone. Non c’era nulla, solo quelle pareti dipinte di rosso cupo, sulle quali si aprivano porte ad arco coperte da tende di velluto e quel lampadario un po’ inquietante. Anche Bonnie sembrava intimidita e si guardava intorno confusa, restando dietro le gambe della padrona.
Babette si voltò verso la porta a vetri da cui era appena entrata, solo per scoprire che la stessa era stata sostituita da un massiccio portone d’ebano interamente scolpito con figure di demoni. E ovviamente chiuso.
Strinse la mano intorno all’impugnatura dell’ombrello, cercando di infondersi coraggio, proprio nell’istante in cui una delle tende si sollevava, lasciando entrare un energumeno dall’aria minacciosa. Alto e ben piazzato, non avrebbe sfigurato come bodyguard di qualche vip, o come buttafuori in un locale di lusso, non fosse stato per i tanti, troppi peli che gli coprivano il dorso delle mani grosse come badili e fuoriuscivano perfino dal collo inamidato della camicia bianca. Il volto poi non aveva nulla dell’aspetto rassicurante che un bodyguard avrebbe dovuto avere, anche se Babette gli riconobbe una seppur grezza e brutale avvenenza. Ma fu la reazione di Bonnie a convincerla che il bestione non dovesse essere poi così pericoloso. Alla vista dell’energumeno, infatti, la cagnetta sgusciò tra le gambe della padrona e prima che lei potesse trattenerla si lanciò addosso al nuovo venuto riempiendolo di baci e carinerie. Lui manifestò un certo disappunto, ma non fece nulla per allontanarla, limitandosi a intimarle di tornare dalla sua padrona con una voce simile a un ringhio gutturale, mentre con le manone l’accarezzava.
Forte della consapevolezza che se uno tratta bene gli animali non può essere una cattiva persona, Babette si fece avanti e si schiarì la voce per richiamare l’attenzione dell’uomo. Il quale sollevò su di lei uno sguardo terribile, reso ancora più fosco dalle folte sopracciglia che si congiungevano su occhi giallo-dorati con riflessi fosforici.
“Vi aspettano di là” annunciò, con evidente irritazione. Difficile capire se rivolta a lei o piuttosto a chi la stava aspettando. A questo punto c’erano poche speranze che si riferisse agli amici canari. Babette pensò che fosse fondamentale chiarire quel punto, prima di tutto.
“Chi mi aspetta e dove siamo, per cortesia?” domandò, senza smettere di brandire l’ombrello in un modo che non lasciasse dubbi sul fatto che era pronta a usarlo in qualsiasi momento.
L’omone peloso si era rassegnato alle feste di Bonnie, e non aveva ancora smesso di accarezzarla.
“Lo vedrete, se mi farete la cortesia di seguirmi, signora.”
Sembrava un maggiordomo di Downton Abbey che fosse stato morso da un lupo mannaro. In effetti quegli occhi e quelle orecchie lunghe e pelose… ma erano già lunghe e pelose prima? Per non parlare di quelle zanne che occhieggiavano tra le labbra. Forse era il caso di seguirlo, dopotutto. Babette guardò con rimprovero Bonnie che era tornata ad avvicinarsi a lei, paga delle effusioni del suo nuovo amico, e vide che quest’ultimo si era già incamminato oltre la tenda da cui era apparso poco prima. Con un sospiro lo seguì.

Si ritrovò a percorrere un dedalo di corridoi e passaggi. Decisamente quel posto non era Giolitti, non lo era davvero! Intanto Giolitti non era così grande, per non parlare dell’architettura, del mobilio. Quando infine la sua guida la precedette in un vasto salone ne ebbe la conferma definitiva. Babette non poté fare a meno di fermarsi sulla soglia e guardarsi intorno con meraviglia e un po’di timore. L’ambiente che si apriva davanti a lei si sviluppava su diversi piani e piattaforme, occupate da tavoli e divanetti, creando un gioco di volumi che sembrava irridere ogni prospettiva, e forse un po’ anche la forza di gravità. Una grande pista da ballo di lucido onice nero dominava un lato della sala, mentre di nero cristallo sembrava essere fatto il banco bar che si allungava sinuoso lungo un’intera parete. Il locale, perché era chiaro che quello fosse un locale, era deserto, nessuno occupava i tanti divanetti di pelle bianca.
Quasi nessuno.
Babette individuò i due unici avventori. Fu il ringhio che scaturì dalla gola della sua guida a indicarle dove guardare, ma probabilmente il suo occhio sarebbe stato catalizzato in ogni caso da loro, soprattutto da quello più alto, che si era alzato in piedi non appena lei era entrata. D’istinto strinse l’impugnatura dell’ombrello. Lei conosceva quel trench di pelle e quei capelli biondi dalla lunghezza impossibile. Li conosceva bene.
“Quello l’hai portato in ricordo dei vecchi tempi, o piove davvero, là fuori?” disse il biondo, con quel suo italiano dallo strano accento, come frutto di mille contaminazioni diverse. Non sorrideva, ma Babette colse una scintilla di ironia nel suo sguardo e nella sua voce.
“Non si sa mai” rispose lei, mantenendosi volutamente ambigua.
“Con chi abbiamo il piacere, Raggio di Sole?” Era stato l’altro uomo a parlare, quello che era rimasto seduto. Vestito di bianco, quasi abbagliante nella sua bellezza nonostante le luci soffuse del locale, o forse proprio per quello. Si era espresso in francese, lo sguardo fisso su Babette che se ne sentì trafiggere. Lui sorrideva, ma era un sorriso freddo, come potrebbe essere quello di un gatto che abbia adocchiato una preda particolarmente succosa.
“È per quella faccenda, ricordi? Quella a cui tengono tanto le nostre umane. Pubbliche relazioni, tutte quelle stronzate. Si sono messe in testa di raccontare la nostra storia…” Raistan arricciò il naso in una smorfia disgustata a quell’ultima osservazione. Il volto dell’uomo in bianco esprimeva costernazione già da prima. “Mon dieu…” alitò, passandosi una mano sul viso. “Io comunque non ho umane” precisò, con un tono tanto gelido da far rabbrividire anche Babette, che seguiva quello scambio lì in piedi, come se fosse un’imbucata a una festa esclusiva.
Raistan roteò gli occhi. “Se ignorarla ti fa sentire meglio…”
“Dovresti ignorarla anche tu. Non capisco perché prestarsi a certe… aberrazioni. Non ti senti spiato?”
“Be’, non la metterei in questi termini…”
“E in che termini la metteresti?” La voce era un distillato di gelo e la temperatura nel locale stava precipitando.
“Scusate” li interruppe Babette, con tono deciso. “Ero uscita per fare colazione e mi ritrovo in questo posto assurdo, in cui peraltro si gela, senza sapere cosa ci sto a fare. Qualcuno mi spiega?”
“Tu fai le domande, donna, noi – forse – rispondiamo. Non è una mia decisione, sia chiaro. Accomodati.”
Il vampiro in bianco si risolse ad alzarsi a sua volta e rivolse a Babette un lieve inchino, anche se la sua espressione continuava ad essere quella di chi avesse subito un grave torto.
Babette finse di non farci caso e prese posto sul comodo divano, senza mollare la presa sull’ombrello. Raistan tornò a sedersi accanto all’… amico? Compagno? Come doveva rivolgersi al vampiro in bianco? Perché ormai era evidente che si trattava del famoso Guillaume De Joie, l’immortale francese che da qualche anno aveva inspiegabilmente unito la propria sorte a Raistan e di cui lei aveva già potuto leggere diverse avventure. E questo proprio grazie all’umana della quale lui negava così spocchiosamente l’esistenza…
Tuttavia, decise di stare al gioco e rivolse al vampiro biondo un sorriso dolce come una caramella.
“Tu devi essere Guillaume. Ho sentito tanto parlare di te, ma non credevo possibile che dal vivo fossi ancora più bello di come ti descrivono.”
Com’era prevedibile il Francese abboccò alle lusinghe. Del resto, che cosa ci si poteva aspettare di diverso da uno che teneva in salotto una statua in stile neoclassico che lo raffigurava a grandezza naturale come Hermes?… Più probabilmente decise che già che si trovava a dover condividere il tavolo con quell’umana, tanto valeva trarne gli aspetti più positivi. Le belle labbra carnose, che fino a quel momento erano rimaste composte in un broncio adorabile, si sciolsero in un sorriso tutto fossette.
“E voi siete senza ombra di dubbio una donna dotata di gusto eccellente, oltre che di un fascino che il tempo ha solo reso più intrigante e irresistibile” la blandì, porgendole la mano e raccogliendo la sua per portarsela alle labbra. “Guillaume Marie De Joie, vostro schiavo.”
Babette lasciò fare, non c’era nessuna ragione di essere scontrose, dopotutto. Riguardo alla faccenda dello schiavo, se quello che aveva letto di Guillaume era vero anche solo in minima parte, non esisteva anima viva o morta sulla faccia della terra in grado di imporgli la benché minima decisione, figuriamoci ridurlo in schiavitù. Ma faceva parte del gioco, ovviamente.
“Deliziata” trillò, ignorando il grugnito di Raistan che, evidentemente, non si era ancora abituato alle smancerie dell’amico. Mantenne l’attenzione su Guillaume, decisa ad approfittare il più possibile della sua inaspettata disponibilità.
“Sono davvero lieta di essere qui e di incontrarvi, finalmente, anche se ammetto che mi sentirei molto più a mio agio se sapessi dov’è qui…” Si guardò attorno, augurandosi che l’espressione da cerbiatta smarrita collaudata da decenni funzionasse ancora a dovere.
“Già, qui…” bofonchiò Raistan, portandosi alle labbra un bicchiere di vodka comparso dal nulla sul tavolino davanti a lui e ingollando il contenuto in un’unica sorsata.
Guillaume intrecciò davanti a sé le lunghe dita eleganti.
“Diciamo che un amico ci ha offerto ospitalità per questa… iniziativa” spiegò, con quella sua voce simile a miele caldo che avrebbe potuto sciogliere la calotta polare a furia di piacevolezze.
“Gentile l’amico” annuì Babette, guardandosi intorno. Che razza di individuo poteva offrire un night club, per quanto raffinato ed elegante, per un incontro che non fosse meno che equivoco? Le vennero in mente almeno una dozzina di mafia romance che avrebbero potuto trovare in quel locale uno scenario perfetto. Tornò a fissare i due vampiri. Alla fine avevano entrambi eluso la sua prima domanda. Si cominciava malissimo…

“Posso chiedervi perché vi siete decisi solo adesso a rilasciare un’intervista? Dopotutto sono parecchi anni ormai che si sente parlare di voi.”
La miglior difesa è l’attacco si sa, e oltretutto Babette Brown non sentiva di doversi difendere da quei due bellimbusti. Ci avessero provato ad alzare un dito su di lei, e gliel’avrebbe fatta vedere! Il suo avvocato avrebbe succhiato loro il sangue, per non parlare del clamore mediatico. I due parvero leggerle nel pensiero, perché rimasero zitti. Raistan lanciava occhiate nervose ora a lei, ora a Guillaume, il quale, da parte sua, sembrava un giocatore di scacchi intento a fissare le proprie pedine per decidere la mossa successiva.
“Diciamo che i tempi erano maturi, Madame” si limitò a rispondere il vampiro disegnando un arabesco nell’aria con la mano. “Questa è un’epoca che rifugge il meraviglioso, e tuttavia lo persegue con un’ostinazione quasi struggente. Forse perché è rimasto così poco di cui la vostra razza possa meravigliarsi” aggiunse, trafiggendola con i suoi occhi simili a zaffiri maligni. Era più basso ed esile rispetto a Raistan, niente da dire, ma decisamente molto più inquietante del bestione olandese, Babette dovette dargliene atto. Decise di adottare una tecnica più soft, dopotutto prima le lusinghe avevano funzionato.
“Di solito, vengo a conoscenza in anteprima delle vostre avventure, eppure questa volta c’è stato il silenzio più assoluto. Come mai?”
“Perché le due umane volevano fare le cose per bene, una volta tanto.” Era stato Raistan a rispondere, prevenendo una risposta del compagno, che probabilmente sarebbe stata solo un’altra sciarada. “Non contente di spacciare le nostre storie alle loro amichette fanatiche, hanno pensato bene di pubblicare con una casa editrice. Ti rendi conto? Come se non bastasse tutta la cattiva pubblicità che è stata fatta a me…”
“Non mi pare che la tua umana ti abbia trattato così male” cinguettò Babette, nascondendo una risatina. Ma tacque subito. Dire che Lucia non aveva trattato male Raistan nei sei romanzi che gli aveva dedicato in quegli anni era come affermare che la luna era fatta di formaggio e un topolino se la mangiava. In realtà lo aveva trattato male, malissimo, facendogli capitare le peggiori disgrazie. Soppesò l’Olandese con una punta di compatimento, prima di spostare l’attenzione su Guillaume. Conoscendo la ‘sua’ umana era davvero una fortuna per lui che non esistessero ancora libri che raccontavano la sua lunga e tormentata storia. Federica aveva fama di essere una tale sadica con i suoi personaggi…
“Una casa editrice, che splendida notizia! Devo congratularmi con voi, dunque. Parlando di cose serie, chi e cosa è il tizio che ha suscitato tanto entusiasmo in Bonnie?”
I due parvero accogliere con sollievo quel cambio di argomento. Soprattutto Guillaume si rilassò subito, distendendo di nuovo il volto in un’espressione sorniona.
“Fidelio è uno dei più fidati collaboratori del… padrone di casa. In pratica decide lui chi entra e chi esce da questo posto. E se può uscire coi suoi piedi, oppure…” Le lanciò un’occhiata significativa, e Babette sentì un brivido scorrerle lungo la schiena. Dannati psicopatici… Nel frattempo il suddetto collaboratore fidatissimo era ricomparso, portando una ciotola d’acqua per Bonnie e un calice di Cartizze ghiacciato per lei. Babette non poté fare a meno di notare con un certo rammarico che l’individuo prestò più cura a posare la prima davanti alla cagnetta adorante, che non a offrire il secondo a lei, senza nemmeno guardarla. Raistan e Guillaume seguirono le sue azioni con espressione vagamente disgustata. L’Olandese, addirittura, si era coperto naso e bocca con la mano, ma attese che se ne fosse andato prima di spiegarne il motivo. “Cristo santo, puzza da morire. Maledetti cani…”
“Prego?!” esclamò Babette, stringendo il manico dell’ombrello con più forza.
Quel cane, non questo” specificò Raistan. “È un licantropo, donna. Un po’ di perspicacia, su. Dobbiamo proprio spiegarti tutto?”
“Be’, sì. Sono qui apposta… Voi non bevete niente, Guillaume?”
“Dopo, Madame. Grazie.” Di nuovo quel sorriso spaventoso e quello sguardo fisso, nei cui recessi brillava una stilla di crudele divertimento. Babette deglutì rumorosamente, mentre cercava di fingersi disinvolta e metabolizzava la scoperta di essere appena stata servita da un licantropo.
“Bene, veniamo a noi. Raistan lo conosco, ma chi è Guillaume?” Lo chiese guardando il Francese e sorridendo incoraggiante, ma lui si limitò a ricambiare lo sguardo e a stringersi nelle spalle. Fu Raistan a prendere la parola.
“Vivo con lui da qualche anno, eppure tante cose sono un segreto anche per me. Rispetto la sua riservatezza, così come lui rispetta la mia. Quello che posso dirti è che è più antico di me, ha circa cinque secoli. Ha ricoperto ruoli molto importanti, che in alcuni casi hanno cambiato il corso della storia. La vostra storia. Doppiogiochista, triplogiochista, non ti consiglio di sfidarlo a poker.” Sorrise a Guillaume, che gli rivolse un cenno della testa e ricambiò il sorriso.
“Ammetterete di essere una coppia molto particolare: come riuscite a non uccidervi a vicenda?” La domanda suscitò una risatina corale da parte dei due vampiri, che scambiarono uno sguardo ironico.
“Di tanto in tanto ci andiamo vicini” disse Raistan. “Siamo diversi, come avrai già intuito leggendo le nostre avventure. Lui è ordinato, preciso, io sono disordinato e confusionario. Lui è più portato alla riflessione e all’introspezione, io cerco di non pensare troppo, perché mi faccio cogliere dalla malinconia e dall’apatia. Eppure, ci piace passare il tempo assieme. Io do a lui delle cose, lui ne dà altre a me, cose di cui magari non ci rendevamo nemmeno conto di aver bisogno, prima di conoscerci. A volte ci sono contrasti, ma niente che una sana scopata non possa risolvere. Tu che ne dici, Guill?”
Il Francese parve valutare seriamente la domanda.
“La sera in cui ho conosciuto Raistan ero abbastanza sicuro di sapere come sarebbe finita.”
Babette si lasciò sfuggire un sorrisetto carico di sottintesi, ma il vampiro sgranò leggermente gli occhi. “No, Madame, niente di erotico… A essere sincero immaginavo saremmo finiti da qualche parte, dove me lo sarei stappato come un analcolico e me lo sarei bevuto fino all’ultima goccia di sangue…”
Il pugno di Raistan lo colpì sul braccio, accompagnato da un grugnito a cui Guillaume rispose con una risata argentina.
“Ecco, vedi come fa? Per forza poi a uno viene voglia di ammazzarlo, ogni tanto…” bofonchiò l’Olandese. A Babette venne in mente la curiosa immagine di due crotali mortali che giocassero tra loro.
Optò per un nuovo argomento.
“A parte Fidelio, come sono i rapporti con i licantropi?”
“Cerchiamo di non averne” rise Guillaume.
“Confermo, ma come Signore dei Diurni cerco di preservare la pace tra le nostre razze. I tempi sono cambiati. Una guerra, in un’epoca così esposta a livello mediatico, metterebbe soltanto a rischio la segretezza delle nostre esistenze. E poi, chi diavolo ne ha voglia? A che scopo? In passato si combatteva senza chiedersi il perché. Ne so qualcosa, visto che sono stato per più di un secolo il Generale supremo dell’esercito del mio Clan. Le nostre razze sono nemiche dall’inizio dei tempi, ma per quale ragione, in fondo? La supremazia sul mondo invisibile? Stronzate. So che è un controsenso, detto dal capo di uno dei maggiori Clan di vampiri in Europa, ma parlando con il comandante delle armate lycan in Inghilterra, Greylord, siamo giunti alle stesse conclusioni. Sono bloccato in questo ruolo, qualcosa che non ho mai voluto, da cui mi ero allontanato, ma cerco di gestirlo in modo da evitare inutili sofferenze alla nostra gente. La verità è che, per noi, per tutti noi soprannaturali, il pericolo più grande sono gli umani. Lo sono sempre stati. Dovremmo allearci contro di loro e spazzarli via, se non fosse che a noi vampiri servono come cibo. Il pianeta ne trarrebbe enorme giovamento.”
Guillaume annuì con gravità, lo sguardo fisso su Babette in un’espressione ineffabile. Sembrava poter dire, da un momento all’altro, “cominciamo da lei” e in quel caso l’ombrello non sarebbe bastato. “La prossima domanda, Madame?” chiese invece, permettendole di rilassarsi un pochino.

“Sì… Raistan, visto che hai citato il tuo ruolo all’interno del Clan, so che non sei molto ben visto dalle alte sfere vampiriche. Come sono i rapporti con questo mondo?”
“Non sono ben visto da quei vecchi tromboni perché non amo le regole e le costrizioni. Io sono un’alta sfera vampirica, e non mi piace. Avevo lasciato il Clan, perché amo essere libero. Odio la burocrazia, e non hai idea di quanta se ne porti dietro una carica come la mia. Ho cercato di semplificare al massimo, da quando sono stato eletto, ma devo fare i conti con elementi così compresi nel proprio ruolo da non chiedersi nemmeno più se quello che fanno abbia senso.”
“E tu, Guillaume? Che rapporto hai con la politica dei vampiri?” li incalzò Babette, prendendo mentalmente appunti.
Il Francese sollevò le spalle in un gesto indolente, che per un attimo lo fece apparire straordinariamente umano. Ma solo per un attimo.
“Mi ha stancato quasi subito. Noiosa come quella degli umani, anzi, di più, perché le grane si trascinano per secoli, in molti casi. È… come dite dalle vostre parti? Tutto un magna-magna…” Pronunciò quell’espressione tipica storpiandola leggermente, e rubando a Babette un sorriso.
“Ma mi è toccato prendervi parte, di quando in quando” proseguì poi. “Vedete, nel nostro ambiente a volte devi decidere se essere uno di quelli che prendono le decisioni o uno di quelli che le subiscono. Ecco, io ho scelto di essere uno che suggerisce a quelli che prendono le decisioni quali decisioni prendere, così se la decisione è giusta è merito mio, se è sbagliata non sono stato io a pronunciarla.”
La guardava con una faccia innocente, da chierichetto troppo cresciuto, e Babette comprese cosa intendesse Raistan poco prima, quando l’aveva definito doppiogiochista e triplogiochista. Non aveva ben capito in quali grandi avvenimenti della storia umana e vampirica Guillaume De Joie avesse giocato un ruolo fondamentale, ma il suo istinto le suggeriva che era meglio non trovarsi sulla sua strada, in certi frangenti. E di certo non sceglierlo come nemico…
“Come trascorrete le vostre notti?” proseguì, schiarendosi la voce. La gola le era diventata improvvisamente secca, e sorseggiò un po’ di Cartizze ghiacciato. Notò con un misto di stupore e piacere che il calice tornava a riempirsi completamente.
“Immagino che dirti ‘scopiamo’ non sia una risposta culturalmente e sociologicamente valida, quindi non lo dirò” rise Raistan, meritandosi un altro pugno sulla spalla da parte di Guillaume.
Bête…” lo rimbrottò affettuosamente il Francese, e Babette valutò che erano davvero carini insieme, se ci si dimenticava di quanto fossero pericolosi.
Guillaume tornò a rivolgersi a lei. “Tra tutti gli aspetti esecrabili della nostra condizione, abbiamo la possibilità di godere appieno dello splendore del creato, con una sensibilità e una capacità di percezione senza paragoni per voi umani. A volte ci limitiamo a uscire e abbracciare la notte, assaporandola in tutti i suoi aspetti, nell’oscurità così palpitante di luce, nei suoi profumi inebrianti, negli assordanti silenzi…”
“È romantico, vero? Se non fosse così stronzo…” intervenne Raistan, meritandosi di nuovo un Bête appena sussurrato dal compagno.
“I lati del carattere di ciascuno che l’altro non sopporta.” Nuovo scambio di sorrisi tra i due vampiri, poi fu Raistan a rispondere per primo. “Sa essere freddo e terribilmente intransigente, in certi momenti. È anche un maniaco del controllo e dell’ordine. Però, la cosa che proprio non sopporto è… il suo amore per l’opera. Tra tutto, sarà quello che rischierà di mettere seriamente in pericolo il nostro rapporto.” Strizzò l’occhio al compagno, concedendosi di sfiorargli la mano con una carezza fugace.
“Sa essere approssimativo in un modo insopportabile, a volte, e mi fa rabbia, perché so quanto possa essere preciso e letale quando deve pianificare qualcosa che gli interessa veramente. Poi ha una tendenza alla malinconia che definirei adolescenziale e il vizio di parlare prima di pensare, caratteristica questa che ci ha messo spesso in situazioni poco piacevoli…”
“Ti ho chiesto quello che non sopporti in lui, non quello che ti piace” gli fece notare Babette strizzandogli l’occhio. Il Francese sorrise.
“Il vostro look, come vi vestite… è molto particolare. Come mai un gusto così eccentrico?”
I due vampiri si guardarono, domandandosi a cosa si riferisse. Eppure era così palese. Raistan in pantaloni di pelle nera, maglietta sbrindellata e trench era la quintessenza del rocker bello (bellissimo) e dannato. Quanto a Guillaume, il suo completo bianco di Armani lo avrebbe fatto apparire come un telepredicatore della Chiesa universale del regno di Dio, se solo avesse rivestito una figura meno gloriosa e affascinante.
“Se mi state chiedendo perché vesto di bianco, Madame, posso solo dirvi che è una sorta di contrappasso legata al mio passato mortale. C’è stato un tempo in cui vestivo esclusivamente di nero, prima per ostentare con orgoglio il credo mio e della mia famiglia, poi come forma di spregio di quello stesso credo da parte di chi pretendeva di dominarmi e possedermi. Questa è la mia risposta per l’eternità.”
A Babette non sfuggì lo stupore con cui Raistan guardava il compagno. Del resto era davvero raro che Guillaume si sbottonasse più di tanto riguardo il proprio passato, figurarsi che ricordasse la sua vita mortale…
“Non so… In realtà, non ho mai fatto caso più di tanto a quello che indosso. Il nero è comodo perché nasconde le macchie… Non nego, tuttavia, di amare il richiamo della mia figura alla Triste Mietitrice. Non mi nutro solo di sangue, ma anche di paura.” Il sorriso zannuto che le rivolse mise addosso a Babette una certa inquietudine.
“E riguardo ai capelli? Tu, Guillaume, sembri appena uscito da un salone di Jean Louis David uomo, ma cosa pensi dei lunghi capelli biondi di Raistan?”
“Gli piace farseli passare tra le gambe” rispose Raistan per lui, con feroce malizia.
Guillaume chinò il capo e scosse la testa. Babette fu abbastanza sicura di avergli sentito bisbigliare: “Bête…”
“Mi piace quando mi si avvolgono addosso, mentre dormiamo. Come fossero animati di vita propria” rispose poi il Francese, risollevando lo sguardo su di lei.
Babette annuì, immaginando la scena. Doveva essere davvero un bello spettacolo…

Percepì la presenza di Fidelio, che era ricomparso a pochi passi dal tavolo, accolto col solito entusiasmo da Bonnie.
“Lui sta tornando” disse semplicemente il licantropo, e dall’occhiata che si scambiarono Raistan e Guillaume Babette intuì che non sarebbe stato saggio se lei si fosse fatta trovare ancora lì. Chiunque fosse Lui.
“Un’ultima domanda” annunciò, dopo aver bevuto un altro sorso di Cartizze. Questa volta il calice non si riempì, segno che la sua permanenza in quello strambo locale era giunta davvero alla fine. Soppesò accuratamente i due uomini che aveva davanti. Belli, eternamente belli, seppur così diversi tra loro. Come doveva essere stato per loro affrontare da soli l’eternità?
“Pensate che il vostro legame sarà per sempre?”
Le parve che il volto di Raistan si incrinasse impercettibilmente. L’Olandese aprì le labbra per rispondere, impulsivo, come sempre, ma l’altro posò la mano sulla sua e lo precedette: “Per sempre è un tempo molto lungo per voi umani, Madame. Riuscite a immaginare cosa significhi per noi? Non credo.” Strinse la mano di Raistan. “Quello che posso dirvi è che, da parte mia, farò tutto quanto è in mio potere per farlo durare il più a lungo possibile.”
“Ben detto, Fiorellino. Ben detto.”
Babette si accorse che Fidelio era rimasto fermo a pochi passi dal tavolino. Sì alzò con un sospiro.
“Bene, signori, è stato un inaspettato piacere” li salutò, recuperando l’ombrello e accertandosi che Bonnie avesse intenzione di seguirla, nonostante le indubbie attrattive di quel Fidelio. Quando riportò lo sguardo sui due vampiri vide che Guillaume si era avvicinato a Raistan e gli aveva bisbigliato qualcosa, che dovette causargli prima un certo stupore, poi un moto di feroce allegria. Si affrettò a seguire il licantropo verso l’uscita, perché era abbastanza certa che quel ‘qualcosa’ avesse a che fare con lei, in un modo che, a dispetto della curiosità, non era così ansiosa di scoprire.
Quando giunse nella stanza circolare si accorse di essere un poco affannata e per un terribile istante temette che Fidelio alla fine non avrebbe aperto quella dannata porta. Invece l’omone posò la grossa mano sul battente e spinse.
“Stia attenta, signora. Potrebbe piovere” le raccomandò, mentre lei stava già uscendo. Babette fece per voltarsi e fargli notare che era una splendida giornata a Roma, ma il rombo di un tuono interruppe le sue parole prima che potessero trovare la via fuori dalla gola. Si ritrovò davanti all’ingresso di Giolitti, mentre le prime gocce di quello che prometteva di essere l’acquazzone del secolo cominciavano a precipitare sul vialetto. Babette alzò lo sguardo al cielo che sembrava sul punto di spaccarsi in due, poi guardò l’interno della pasticceria. Infine lanciò un’occhiata dall’altra parte della strada, al cancello di casa. Bonnie parve prevenire il suo pensiero, perché iniziò a tirare con decisione in quella direzione. Al diavolo, per quel giorno, avrebbe fatto colazione con fette biscottate e marmellata!

Sarò sincera. Ho fatto colazione con le fette biscottate e la marmellata, ma il tè era abbondantemente corretto con del whisky scozzese. Non mi resta che ricordarvi -sì, alla terza tazza la tremarella è passata- che Raistan e Guillaume li potrete incontrare nel volume “L’Alchimia degli Opposti”, che racchiude le loro prime cinque avventure.

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