Bologna, Sala Eureka, Centro Lame, 7 aprile 2017
La Sala Eureka, inaugurata oltre dieci anni fa come spazio per la cultura e gli incontri al centro di una galleria commerciale, ha ospitato il primo evento congiunto dei due scrittori bolognesi, nativo Carboni e d’adozione Pappalardo.
I due, in realtà, hanno qualcos’altro in comune oltre al luogo di residenza. Davide è stato allievo di Roberto in uno dei corsi di scrittura creativa che lui tiene da molti anni, e con successo crescente, ad allievi entusiasti e partecipi. Entrambi poi scrivono in noir, prediligendo per le loro storie crimini che si nutrono di colori foschi e atmosfere angoscianti. Storie che producono forti suggestioni nel lettore, che lo incatenano con i meccanismi ben collaudati della paura.
Le vie seguite per impressionare il lettore, e qui vengo al titolo dell’evento, sono però diverse e in apparenza diametralmente opposte: una intimistica, di autoconoscenza e di auto accettazione della propria diversità, per Dalla morte in poi di Roberto Carboni; una esterna, tutta azione incalzante, in Buonasera (Signorina) di Davide Pappalardo, che a tratti non trascura di aprirsi in una profonda esplorazione interiore.
Comincia così, con questo distinguo, la mia presentazione dei due romanzi e prosegue con la lettura delle recensioni, che di recente ho pubblicato sul Blog di Babette Brown legge per voi e sul portale web di MilanoNera. Me l’hanno chiesto loro, i due scrittori, e me ne servo per inquadrare i temi portanti delle due opere. (*)
Dalla morte in poi è un romanzo diverso da tutti, con un protagonista diverso da qualunque altro psicopatico con cui Carboni ci abbia agghiacciato fin qui. Oscar Torri, che ha goduto delle attenzioni di genitori affettuosi, si è formato una famiglia di cui ha cura, si è costruito una dimensione lavorativa di discreto successo, eppure… Eppure sceglie di non resistere alla pulsione di uccidere, che scopre in sé all’improvviso e che lo spinge verso una escalation inarrestabile in cui la partita mortale non è tanto quella con i medici o le forze dell’ordine che lo devono fermare, ma piuttosto con la sua sete di autoconoscenza.
In Buonasera (Signorina) di Pappalardo la morte colpisce a tempo di swing, quello di Fred Buscaglione e del suo piglio spregiudicato e beffardo, che fanno capolino dal titolo e da molte pagine, ad accompagnare la cronaca di un semestre di sangue a Milano, dagli ultimi giorni del 1970 al giugno del ’71, nel momento in cui la criminalità cittadina cambia volto, dal sottobosco di piccoli delinquenti disorganizzati della ligèra alla malavita inquadrata in bande di gangster, che fonda il suo impero sullo smercio di droga e sullo sfruttamento della prostituzione. La vicenda portante del romanzo parte proprio da qui, dall’omicidio di un gangster, Giuseppe Molinari, legato a un altro gangster, Jo Le Maire, delinquente della vecchia scuola che nasconde dietro un commercio legale di alcolici i suoi loschi traffici di droga e prostitute, sullo sfondo dei più frequentati locali notturni della città. A finirci di mezzo è Libero Russo, uno sbirro ripudiato che sbarca a fatica il lunario improvvisandosi investigatore privato al soldo di poveracci come lui e che, per difendersi, è costretto a indagare su una trama che si fa di pagina in pagina più cruenta.
Cedo poi la parola ai due scrittori, in rigoroso ordine alfabetico, per approfondire la natura dei loro protagonisti. Carboni sottolinea la singolarità del suo personaggio, la cui psicopatia una volta venuta alla luce non gli crea sofferenza o sensi di colpa, anzi lo fa stare bene, come accade a chi trova la sua strada. “Non cerco comprensione né compassione. Non mi pento. Rifarei ogni cosa, anche più crudelmente se potessi”, gli fa dire alle prime righe del prologo che è anche un epilogo, nel continuo gioco di specchi cui Roberto ci ha abituato da tempo. Gli chiedo quale sforzo gli sia costata la narrazione in prima persona, esperienza del tutto nuova per lui, e lui mi risponde con sorriso sardonico: “Purtroppo, nessuna”.
Libero Russo si muove invece tra due registri, Pappalardo lo sottolinea con forza e lo documenta con altrettante letture che si avvalgono della voce suggestiva di Vita L’impalà: Libero Russo è un investigatore privato disilluso e tormentato, divenuto tale per essersi cacciato nei guai come poliziotto, ed è animato da una violenza che spesso si abbatte senza distinzione su buoni e cattivi. Si nutre di alcol e di sesso, senza un domani, panacea per la sua amarezza, ma anche di un tormento antico, analizzato e scandagliato con maturità psicoanalitica, in cui ha un ruolo centrale il rimpianto per un amore che faceva stare bene.
Continuo chiedendo a entrambi il perché delle rispettive ambientazioni: Bologna, sempre Bologna, per Carboni; Milano, in questo e nel precedente romanzo di Pappalardo.
Roberto risponde con la lettura di un brano, tra i miei prediletti all’interno del romanzo, quasi un inno alla memoria: “Ah, Bologna. Cosa non è questa città! Un enorme luna park. E io un eterno bambino con le tasche piene di biglietti omaggio. Ora me ne rendo conto. Della nostra vita rimane tutto, scolpito in quello strano supporto che è il tempo. I ricordi sono fili del nostro maglione preferito, che si è impigliato da qualche parte in un momento in cui non ce ne siamo accorti perché eravamo distratti. E adesso guardiamo indietro con nostalgia, al freddo, con la pancia scoperta”.
Davide sottolinea che Milano, quella dei primi anni ’70 in bilico tra dopoguerra e modernità, gli è stata funzionale per fotografare il momento di passaggio da un tipo di criminalità all’altra, la stagione in cui la città si avvia a diventare metropoli e capitale economica e, dunque, preda ambita di una delinquenza di ambiziosa avidità. Una Milano che continua però a odorare di case di ringhiera ma che si illumina a tratti di vividi colori mediterranei, quelli della Sicilia di Libero Russo e di Davide stesso.
Concludo sottolineando a entrambi il ruolo centrale che la musica mi pare rivestire nei due romanzi. Quella di Miles Davis, dell’album Kind of Blue, per Carboni, di Blue in green in particolare, cui Oscar Torri dedica una dichiarazione di vera passione: “Un tema di sole dodici battute. Trenta lunghe note, sostenute da una cruda malinconia urbana che sa di alba fredda e infuocata, tombini che alitano vapori, strade bagnate, bagliori bianchi e rossi, edicole illuminate e giornalai assonnati. Che termina con un accordo di Re minore sesta-nona, con la corona sopra che significa: fallo durare finché ti pare ragazzo, tanto il pezzo è finito e la sua vita andata come i ricordi, che per questo diventano immortali”. La musica che si nutre di follia, il genio che si alimenta di diversità.
Quella di Fred Buscaglione e del suo swing duro e spregiudicato per Pappalardo, ma anche le note languide di Louis Armstrong, oppure l’heavy metal pionieristico dei Deep Purple, o magari il soul arrochito e dolente di Janis Joplin. In un passo del romanzo, il suo protagonista si accinge ad ascoltare proprio Buonasera (Signorina), che dà titolo al romanzo e ritmo alla narrazione: “Sistemai la puntina e il disco partì. Grande Fred. E fanculo a te, che mi hai lasciato e che dicevi che ero un vecchio rottame. Un mentecatto che ascoltava solo cantanti morti”. La musica come amplificazione degli stati dell’animo, come colonna sonora di vita.
Termina qui la mia presentazione di due romanzi tra i più singolari che abbia letto di recente, un’impronta forte nel solco del noir, due voci originali e dense di riferimenti culturali assimilati con profondità.
Il pubblico, numeroso e attento, sembra pensarla come me e circonda i due autori per trasmettere e ricevere impressioni.
Una menzione speciale ai responsabili della Libreria Coop Lame, tra i librai più efficienti e partecipi che mi sia capitato di incontrare fin qui.
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