Roberto Carboni dialoga su Dalla morte in poi

Bologna, Salaborsa, Auditorium Enzo Biagi, 20 aprile 2017

Quando Roberto Carboni mi ha chiesto di affiancarlo nell’evento del 20 aprile, lo confesso, mi sono sentita intimidita. Da una formula – un monologo su psicopatia e psicosi, ideato da Roberto per scavare i significati meno palesi del suo ultimo romanzo, divenuto poi riflessione a due voci per accogliere anche la mia – e da un luogo, l’Auditorium Enzo Biagi della Salaborsa di Bologna, imponente monumento alla vita culturale cittadina.

Non è una classica presentazione letteraria, anche se Dalla morte in poi (Fratelli Frilli Editori, 2017) è spunto e sfondo di questo percorso conoscitivo, ma di un viaggio attraverso la lucida follia del suo protagonista. Oscar Torri è un uomo ‘medio’ con le fragilità di noi tutti, amato dai genitori, che si prende cura della famiglia e dei suoi dipendenti, un imprenditore di discreto successo che all’improvviso scopre dentro di sé l’impulso irrefrenabile di uccidere, e decide di non resistergli. Con consapevolezza, sceglie di abbandonarsi a quella pulsione che lo spinge verso una escalation inarrestabile, in cui la partita mortale non è tanto quella con i medici o le forze dell’ordine che lo devono fermare, ma piuttosto con la sua sete di auto conoscenza e di auto accettazione.

Che cos’è la follia, mi chiedo in apertura. Penso all’etimologia del termine latino follis, pallone gonfio d’aria, e al suo significato traslato di ‘mente vuota’. E mi dico che la follia non richiama certo un’assenza di pensieri e di idee, anzi. Appare piuttosto come un concetto così vasto da non poter essere afferrato con un pensiero sistematico ma solo, come direbbe Leopardi, con un pensiero emozionale. Del pari non è colpevole perché, come può essere accostata solo da un approccio emotivo, altrettanto sfugge a qualunque categoria morale.

Da dove viene la follia?

Jung, il padre della psicologia analitica, sostiene che in noi tutti alberga l’Ombra, un’oscurità che è parte inscindibile di noi, tanto più fosca e inquietante quanto meno ne siamo consapevoli. In quell’Ombra archiviamo tutte le nostre frustrazioni, ciò di cui ci vergogniamo, quello che non riusciamo a essere.

Roberto Carboni

Chiedo dunque a Roberto che cosa ci accade quando non possiamo accettarci, quando diventiamo il nostro peggior nemico. Mi risponde con l’asserto di Marina Valcarenghi, nota psicoterapeuta junghiana: tutti i nostri talenti spinte e desideri, che non abbiamo potuto soddisfare in quanto incompatibili con l’ambiente etico sociale culturale in cui viviamo, vengono seppelliti nel nostro inconscio, ma continuano a lavorare in un’oscurità che diviene paurosa perché è lì che neghiamo noi stessi.

Ecco perché Dalla morte in poi non fa paura ma sgomenta, ci contagia laddove siamo indifesi, tra conscio e inconscio. Roberto sottolinea con forza che l’ispirazione per il romanzo gli è venuta dalla realtà, dai resoconti della polizia, dai casi psichiatrici riportati dalla clinica o dalla letteratura scientifica. Perché, al di là della nostra razionalità e delle regole che disciplinano il contesto in cui viviamo, il male esiste.

Prosegue con la lettura vibrata e inquieta del suo Prologo, che è anche un Epilogo perché nel noir non esiste sequenzialità temporale ma solo linearità nello sviluppo del processo degenerativo: “Non cerco comprensione né compassione. Non mi pento. Rifarei ogni cosa, anche più crudelmente se potessi. Le trincee che il tempo mi ha scavato attorno agli occhi racconterebbero una per una i dettagli delle mie degenerazioni, se solo qualcuno le volesse comprendere e non si accontentasse di inorridire per i crimini che ho commesso. E di cui – lo ripeto – non mi pento”.

Trasmette angoscia questo brano, quel senso di malessere psicofisico legato all’attesa di eventi spiacevoli, forse perché ci fa sentire come bambini smarriti e fragili. Carboni annuisce e spiega che siamo davvero così, al cospetto dei nostri impulsi primordiali, tuttavia li neghiamo e rimuoviamo, alimentando Ombre che lavorano dal nostro inconscio. Dovremmo invece accettarle e trasformarle in opportunità, come un suo amico, vicedirettore dell’allora manicomio bolognese, riuscì a fare imparando a stare al mondo dai suoi ‘matti’.

La vergogna invece, che deriva dalla non accettazione di quegli impulsi, viene seppellita nell’inconscio, ma ci scava e ci svuota, come fanno i tarli con le loro gallerie. Si trasforma spesso in un nucleo psicotico, in una personalità ‘altra’ che è noi, ma allo stesso tempo non lo è, in un paradosso che ci porta a non essere noi per poterci accettare.

L’Ombra racchiude sempre la vergogna, e il conflitto porta, secondo Freud, alla nevrosi. Si tratta delle due ‘spinte’ freudiane, dei due impulsi fondamentali che governano la nostra vita, Amore e Morte, pulsione libidica e aggressività. Quando queste trascendono un sostanziale equilibrio, si generano conflitti e angosce.

La trasgressione può essere momentanea e concretizzarsi in episodi isolati, gli omicidi della ‘follia transitoria’. Li definisce così Ugo Fornari, uno dei più stimati psichiatri forensi, alludendo a molti assassini ‘casuali’ che piangono in carcere un solo raptus omicida capace però di strapparli per sempre ai loro cari.

Esistono viceversa i ‘delitti della normalità’, allocuzione coniata da Vittorino Andreoli al tempo della sua perizia psichiatrica su Pietro Maso e i due complici, portatori tutti di un disturbo della personalità ma non infermi di mente. Quel delitto fu compiuto con piena volontà e premeditazione e a ragione poteva essere inquadrato in una società in cui “la morte è diventata banale, ha perso pathos”.

Freud d’altronde sostiene che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha pensato e desiderato di uccidere qualcuno. Nella maggioranza dei casi i freni inibitori, cultura della vita e timore della pena, hanno tenuto, ma è indubbio che la tendenza sia verso una società pulsionale che, in presenza di uno svilimento dei valori tradizionali e in assenza di un rigoroso codice etico, sembra destinata a precipitare verso il nichilismo.

Giusy Giulianini

Osservo che in ambito letterario questa trasformazione della società consente di leggere la differenza tra noir e giallo classico. Roberto rincara, sottolineando che per il noir l’omicidio è una sorta di malattia infettiva che contagia le esistenze degli uomini, mentre per il giallo classico rappresenta un rompicapo, una sfida intellettuale al centro della quale spesso si dimentica che c’è la morte di un uomo.

La lettura di un altro brano del romanzo, La colomba e la notte, documenta in modo inconfutabile la totale assenza in Oscar Torri di empatia per le sue vittime e di rimorso per la sua colpa: “Queste immagini rimarranno per sempre, ad alleviare l’angoscia di una vita che mi soffocava con le sue convenzioni e civiltà. E tra tanti anni, quando la vecchiaia sopraggiungerà prosciugandomi, mi troverà pronto. Decrepito, ma appagato. Benvoluto e rispettato dagli amici e dalla famiglia. E potrò finalmente spegnermi con serenità, custodendo i miei segreti. Certo di lasciare, tra i miei cari, solo rimpianto e ricordi d’amore”.

Oscar Torri è un predatore, umano e disumano a un tempo. Ha un lato fragile come tutti noi, ma vuole ritrovare il suo istinto primitivo. E per questo è disposto a intraprendere un viaggio verso la realizzazione della sua vera natura.

Non sente rimorsi, né pietà per le vittime: è quello che la comunità psichiatrica identifica come psicopatico. Secondo Schneider, gli psicopatici sono coloro che soffrono e fanno soffrire la società. Non hanno deficit cognitivi, sono anzi dotati di forte intelligenza. Quello che non va in loro riguarda la sfera comportamentale, nella quale la loro re-azione è comune e giusta, ma abnorme nella quantità.

Osservo che, sotto il profilo letterario, non deve essere stato facile creare un protagonista con un tale grado di complessità e, per di più, raccontarlo in prima persona. Roberto confida invece che la voce di Oscar Torri pazzo è stata facile, assemblaggio e interpretazione di testi psichiatrici e casi clinici, mentre quella incerta e impaurita è proprio la sua, di Roberto.

Aggiungo che, comunque, una totale assenza di giudizio caratterizza i suoi scritti e ci sorprende. Le storie di Carboni non sono né morali, né immorali. Sono a-morali, perché lui non vuole costringere il lettore a indirizzare la sua ragione o le sue simpatie verso una direzione prestabilita. Ecco perché la lettura non si limita a essere tale ma, seppure a distanza di tempo e spazio, diventa un fenomeno interattivo, in cui lo scrittore riceve notizia di significati che trascendono quelli che lui stesso ha fissato e il lettore scopre se stesso.

Il nostro viaggio nella lucida follia termina qui e io concludo l’incontro con una nota personale. Non volevo confessarlo ma, fin dalla prima lettura, ho provato empatia per Oscar Torri. Faticavo a comprenderlo, ma ora credo di averlo capito: ho riconosciuto in lui la mia oscurità. Sta poi in me trasformarla in opportunità.

Il pubblico tutto è apparso visibilmente toccato da una riflessione non facile, ma di profonda umanità, in primis Silvia Masi direttrice della Biblioteca di Salaborsa e la scrittrice Daniela Rispoli che di percorsi in noir se ne intende.

Titolo: Dalla morte in poi. Delirio e follia a Bologna.
Autore: Roberto Carboni.
Genere: Noir.
Editore: Fratelli Frilli Editori.
Prezzo: euro 4,99 (e-Book); euro 9,27 (copertina flessibile).

“Non cerco comprensione né compassione. Non mi pento. Rifarei ogni cosa, anche più crudelmente se potessi. Le trincee che il tempo mi ha scavato attorno agli occhi, racconterebbero una per una i dettagli delle mie degenerazioni, se solo qualcuno le volesse comprendere e non si accontentasse di inorridire per i crimini che ho commesso. E di cui – lo ripeto – non mi pento. Sono giunto fin qua nel tentativo di capirmi, e ho scelto di vivere. Dalla morte in poi, almeno. Ma non chiamatemi assassino, sarebbe riduttivo. Sono un uomo che ha fatto l’errore di domandarsi fin dove potesse arrivare. E ha trovato il coraggio di rispondersi.” Oscar Torri, imprenditore bolognese, soffre di attacchi di panico. È un insicuro cronico, una vittima. O almeno così crede. Fino a quando dentro di lui non emerge il suo inconscio primordiale. Prende atto di essere un predatore, e che le sue ansie… i controlli… servivano solo a soggiogarlo. E incomincia la sua vera vita. Commette i più efferati crimini ma al contempo ritorna ad essere il miglior marito, padre di famiglia e datore premuroso nei confronti dei propri dipendenti. Affina la propria folle filosofia. “Io e tutte le persone che ero stato nel tentativo di nascondermi, stavamo per stringere la mano al demonio che ero in realtà. Fino a quando…”

Gli articoli di Giusy Giulianini