“Perché in Italia i corsi di scrittura creativa vengono visti tanto male, quando all’estero si studia narratologia?”
Un mercoledì come tanti, nel Gruppo Facebook “Babette Brown legge per voi” (ci trovate QUI). Qualcuno lancia un argomento di discussione e altri rispondono. Qui, i pareri più interessanti.
Fernanda Romani rompe il ghiaccio. Il motivo non lo conosco, ma posso fare alcune ipotesi.
1_ Molte persone che scrivono, e lo fanno magnificamente, ritengono che i corsi siano inutili. Portano come esempio la loro esperienza, fatta di studio, letture, costante esercizio. Leggendo le loro opere è facile concludere che i corsi non servono.
2_ Come tutto ciò che riguarda l’editoria, anche la questione dei corsi di scrittura è una giungla. Troppe bufale. Troppa gente che assume il ruolo di insegnante di scrittura senza averne le competenze. Alcune persone lo fanno per vanità, altre per spillare soldi ai polli. È normale che sia nata una certa diffidenza verso corsi in genere.
Detto questo, riguardo al tema proposto oggi, volete anche il mio parere sui corsi?
Secondo me servono, eccome!
Il punto è che siamo soggetti completamente diversi l’uno dall’altro, quindi non esiste una modalità che vada bene per tutti.
Io, per esempio, sono una che le cose le capisce meglio, e più in fretta, se qualcuno gliele spiega. Perché dovrei metterci sei mesi per imparare “d’istinto” qualcosa che potrei afferrare in dieci minuti, se qualcuno me la spiegasse?
E non ditemi che basta leggere, per favore. Leggo dall’età di cinque anni e non mi è servito per imparare a scrivere un buon incipit oppure per capire cos’è il ritmo da dare a una storia.
Per quanto riguarda i metodi, che inevitabilmente vengono insegnati durante i corsi, perché rifiutarli a priori? Si sperimenta, si considerano i risultati e si costruiscono procedure personali.
Il metodo che uso io è personalissimo e non lo consiglierei a nessuno, ma è giusto che ogni individuo segua un suo percorso.
I romanzi di Fernanda Romani li trovate QUI.
Maria Grazia Swan (vive a Phoenix, Arizona) porta la sua esperienza. Io ero già sposata e madre, quando mi iscrissi a un corso di creative writing al Saddleback College. Il primo giorno, quando risposi ad alta voce a una domanda dell’insegnante, un altro studente gentilmente mi disse che la classe per “English 101” era in un altro edificio… Un anno dopo (due semestri? Li calcolate così, in Italia?), avevo un romanzo giallo completo e un agente letterario. Nota bene: scrivevo rubriche (mi pagavano, eh!) per riviste già da parecchi anni, per single maturi in cerca d’amore. Tornando indietro nel tempo, quando avevo 13 anni vinsi un concorso letterario in Belgio (sì, ho vissuto anche lì). Dopo la morte di mia madre, mettendo ordine nelle sue cose, trovai la notizia su un quotidiano di allora. Lei aveva tenuto tutto…
Comunque, per me i due semestri son stati formidabili: ho imparato ‘regole’ che non sapevo esistessero; mi hanno aiutato a trovare una casa editrice. Sono super favorevole alla frequenza. Certo, devono essere validi, perché costano e nessuno vuole buttare i soldi dalla finestra.
I romanzi di Maria Grazia Swan li trovate QUI. Molti sono in anglo-americano; alcuni sono stati tradotti e pubblicati in Italia.
Eward C. Bröwa aggiunge alcune riflessioni interessanti. Non so se la differenza sia tra noi e l’estero, ma ho spesso l’impressione che in quest’ambito si assimilino realtà diverse: regolette categoriche quanto effimere, oppure lavori approfonditi sui testi. Ad esempio, il futuro Nobel Ishiguro frequentò “Creative Writing” all’Università e ne parla come di una tappa per lui importante; vero, ma avete presente di che cosa si trattava? Un corso accademico con sei iscritti (quell’anno erano tanti, di solito non ne venivano ammessi più di tre o quattro), con un tutor individuale oltre al docente e molto lavoro volto a trarre il meglio da un testo dello studente. E, per sfiorare solo il peraltro decisivo tasto della qualificazione di chi insegna, il docente era Malcolm Bradbury, la tutor Angela Carter.
In realtà, ne so troppo poco per esprimere un parere articolato; non conosco le opinioni più diffuse qui e altrove; “estero” è un concetto vasto, e a me pare di vedere anche nel nostro paese molte posizioni favorevoli alle scuole di scrittura, pure parecchie secondo cui senza averne frequentate non si può proprio scrivere.
Il mio parere: una scuola in tal ambito può esistere se dà strumenti, ma deve evitare i dogmi, tanto più quelli arbitrari (sempre ammesso che ci siano dogmi non arbitrari, ma questo è un altro discorso). Con un pensiero reverente al fatto che ogni teoria della letteratura è nata “dopo” la letteratura, analizzando quella esistita fino ad allora. Quindi, costruire il futuro solo guardando al passato è limitante.
Ogni volta che si creano schemi fissi, infine, si offre all’intelligenza artificiale uno strumento in più per soppiantarci, perché nel ripetere il modello imparato sarà sicuramente migliore di noi.
I romanzi di Eward C. Bröwa li trovate QUI.
La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata il 28 marzo 2025.
Copertina Canva. Immagini presenti: cover romanzi inviate dagli Autori e immagine free di Canva.
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