Protetta dal suo nom de plume, A. I. Cudil si è sottoposta volentieri alle nostre domande, anche quelle semiserie…

INTERVISTA SEMISERIA:

Colore preferito. Una volta il blu, oggi il rosso è in rimonta.
Cibo preferito. Cioccolato.
In cucina, come te la cavi? Bene, di recente ho iniziato a sperimentare cose nuove e mi diverto molto.
Status sentimentale. Sposata.
Attrice preferita. Sandra Bullock.
Attore preferito. Edward Norton.
La donna dei tuoi sogni. Michelle Pfeiffer.
L’uomo che vorresti essere. Non vorrei essere un uomo, troppo complicato.
Tornassi a nascere, uomo o donna, e perché. Ops, ho risposto sopra. Penso che tornerei a nascere donna.
Serie Tv preferita. Lost tra le serie concluse, tra quelle in corso Grey’s Anatomy e Castle.
Genere di lettura preferito. Di tutto, non ho una preferenza di genere, forse i thriller dovendo proprio scegliere.
Scrittore preferito. Non ne ho uno solo. Dai grandissimi a quelli di certo meno grandi ma molto bravi. Tolstoj, Fitzgerald, Murakami, Calvino, Némirovsky, Tolkien, Faber, Grossman, Connelly, Lowry giusto per citarne alcuni.
Musa ispiratrice. La vita e le persone che ho incontrato e incontro tutti i giorni. E le opere di un pittore mio amico.
Genere musicale preferito. Blues e Rock Alternativo.
Cantante preferito. Difficile scegliere, forse Ligabue.
Band musicale preferita. Coldplay.
Social network: sì o no? Sì e no. Posso essere uno strumento molto utile ma la vita davvero social è fuori dalla rete.

INTERVISTA SERIA:

Perché scrivere? Come è nata questa “necessità” e quando?
Per alleggerire il cuore.
Quando avevo otto anni mi hanno regalato un diario che ho tenuto per anni e trovavo conforto nel dare parola alle emozioni. Poi ho proseguito per motivi di lavoro, ma solo sei anni fa ho avuto il tempo di prendermi una pausa e dedicarmi davvero alla scrittura. La disponibilità di tempo ha coinciso con il coraggio di scrivere per gli altri, non solo per me stessa.

Come scrivi? Carta e penna, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
All’inizio scrivevo a mano, poi è venuto il portatile e adesso io e il mio fedele Mac lavoriamo benissimo assieme. Mi capita di appuntarmi qualche frase e allora torno alla penna, ma solo in caso di emergenza.

C’è un momento particolare nella giornata in cui prediligi scrivere i tuoi romanzi?
No, scrivo quando posso. L’importante è che ci sia solo io nella stanza. Non pretendo il silenzio, ma devo isolarmi un po’. La notte è perfetta, ma mi sono resa conto che le giornate di sole non sono male, i pomeriggi in modo particolare. La pioggia invece mi rende triste e preferisco leggere, quando piove.

Che cosa significa per te “scrivere”?
Creare. Dare forma e parola a un pensiero e a un’immagine. Far rivivere un ricordo. Emozionarsi a tal punto da non poter non esprimere questo sentimento. Immagino che la scrittura sia la mia forma espressiva e creativa perché parlando con amici artisti mi sono ritrovata spesso nelle loro definizioni di pittura. Ci ho impiegato anni a capirlo, ma sono contenta di esserci arrivata.

Ami quello che scrivi, sempre, dopo che l’hai scritto?
Sì, di solito sì. Se non mi piace, lo butto prima che altri possano leggerlo. Sono perfida, lo so.

Rileggi mai i tuoi libri, dopo averli pubblicati?
Sì, succede. Ogni volta mi stupisco di averle scritte io quelle parole. I primi romanzi mi fanno sorridere e venire voglia di correggerli, ma mi coinvolgono esattamente come quando li ho scritti. Come ho detto prima, se non mi fossero piaciuti li avrei buttati.

Quanto c’è di autobiografico nei tuoi libri?
In realtà? A livello di emozione c’è molto, ma della mia storia personale poco o niente. Forse “Solo il tuo sapore” ha ricreato l’atmosfera d’intesa di quando lavoravo nella cucina di un ristorante chic con dei colleghi fuori di testa. Ah, dimenticavo: “Imperfetta”. Una delle colleghe di Erika è davvero una mia odiosa collega. Mi sono vendicata facendola diventare un personaggio negativo. L’ho già detto che sono perfida? Nelle mie storie ci sono le emozioni che ho incontrato e che incontro, ma le situazioni narrate sono davvero di fantasia. Magari possedessi davvero il Six Senses, sapete quanti soldi avrei fatto grazie ai miei ragazzi?

Quando scrivi, ti diverti, oppure soffri?
Entrambe le cose. All’inizio, Antonia Iolanda Cudil è nata per divertirsi, per scrivere storie sfrontate dietro il velo dell’anonimato. Quanto mi sono divertita a scrivere “Rouge Club”! Poi però ci sono storie che mi hanno fatto soffrire, come l’ultimo romanzo “Solo la tua voce”, il secondo della serie Six Senses. Diego è un personaggio di cui vado fiera, ma è stato molto complesso entrare nella sua testa. Diego è troppo lontano da me, troppo dominatore, troppo crudele. Senza contare che uccide i tori! Io non mangio nemmeno la carne! Documentarmi sulla corrida mi ha fatto piangere; mentre vedevo i video della mattanza, stavo male fisicamente e ci ho pensato per giorni interi.
Inoltre, Antonia Iolanda Cudil era diventata A.I. Cudil con le sue lettrici, desiderose di conoscere il seguito di “Solo il tuo sapore”. Non potevo più scrivere con leggerezza la storia di Diego, dovevo impegnarmi al massimo perché c’era chi ci teneva. Mi sono sentita sotto pressione. Le due cose insieme hanno reso “Solo la tua voce” un romanzo complicato da scrivere e che mi ha fatto patire non poco.

Trovi che nel corso degli anni la tua scrittura sia cambiata? E se sì, in che modo?
Sì, è cambiata molto. Per prima cosa ho imparato la differenza di scrittura che caratterizza i vari generi. Ci sono delle regole ben precise di cui all’inizio non ero a conoscenza. Leggendo, facendo corsi di scrittura, frequentando i workshop di Ewwa ho imparato a usare gli strumenti del mestiere. Ho rallentato molto, sia la stesura che lo svolgimento dell’azione, i testi si sono allungati arricchendosi di dettagli.
Sono migliorata, ma c’è ancora molto da fare, perché come mi disse una delle nostre Ewwe si può sempre migliorare.

Come riesci a conciliare vita privata e vita creativa?
Grazie a mio marito. Davvero, senza di lui, senza il suo sostegno non potrei mai farcela.

La scrittura ti crea mai problemi nella vita quotidiana?
Avendo scelto uno pseudonimo e pubblicando in digitale, sono pochi gli amici e i parenti che conoscono la mia attività di scrittrice di romance e di erotici. Quindi spesso non capiscono perché resti a casa la domenica o le sere. Scrivere mi ha resa asociale in alcuni momenti, ma mi ha permesso anche di capire chi veramente mi era amico.

Come trovi il tempo per scrivere?
Rubandolo per lo più alla mia famiglia. È molto brutto, ma è così. Non posso rubarlo al lavoro, quindi lo rubo alle attività domestiche e se non posso farne a meno ai miei amici e familiari. Per scrivere vengono meno molte domeniche pomeriggio in gita da qualche parte e le serate al cinema. Insomma il tempo libero non esiste quasi più, il tempo occupato è molto conteso.

Gli amici/i parenti ti sostengono, oppure ti guardano come se fossi un alieno?
A parte mio marito e le mie amiche più care, gli altri mi guardano come un’aliena, ma mi sta bene: ho sempre amato la fantascienza.

Nello scrivere un romanzo, navighi a vista come insegna Cotroneo, oppure usi la scrittura architettonica, metodica consigliata invece da Bregola?
Entrambi i casi. Mi faccio una scaletta precisa, ma a volte cambio in corso d’opera. Come dicevo all’inizio, se non mi piace butto via e modifico anche la scaletta. L’importante è che il romanzo rimanga fedele al tema e che i personaggi non tradiscano se stessi.

Quando scrivi, lo fai con costanza, come faceva Trollope, oppure ti lasci trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Sono incostante. Un po’ per motivi di tempo, un po’ per motivi d’umore. Io devo essere felice per scrivere. Ho iniziato a scrivere in uno degli anni più belli della mia vita e da allora le storie migliori le ho scritte quando ero più contenta.

Tutti dicono che per scrivere bisogna prima leggere. Sei una lettrice assidua? Leggi tanto? Quanti libri all’anno?
Sì leggo abbastanza, Goodreads mi avvisa però che sono sotto la percentuale prevista, perché a oggi siamo a 60 libri letti e se non mi sbrigo non arriverò agli 80 previsti. Quindi mi sa che devo leggere di più.

Qual è il genere letterario che prediligi? È lo stesso genere che scrivi, o è differente? E se sì, perché?
Mi piacciono moltissimo i fantasy, i thriller e la fantascienza. Leggo molti rosa, ma i miei preferiti restano sempre i thriller. All’inizio, dopo un’esperienza disastrosa con il mondo fantasy, mi lanciai nel rosa proprio per staccarmi. Però mi rendo conto di non riuscire mai a rimanere in un unico genere, in tutte le mie storie c’è una commistione di generi. Quindi forse la risposta giusta è sì, prediligo scrivere ciò che leggo: un po’ di tutto.

Autori e autrici che ti rappresentano, o che ami particolarmente. Citane due italiani e due stranieri.
Che domanda difficile! Solo due è davvero arduo. Sapendo già che faccio torto a tanti e bravissimi autori, dico: Elsa Morante e Italo Calvino. Tra gli stranieri Irène Némirovsky e Francis Scott Fitzgerald.

Di gran voga alla fine degli Anni Novanta, più recentemente messi al bando da molte polemiche in rete e non solo: cosa puoi dire dei corsi di scrittura creativa che proliferano un po’ ovunque? Sei favorevole, o contraria?
Ho seguito quattro corsi di scrittura, solo uno posso dire essere stato davvero inutile. Gli altri tre mi hanno aiutata moltissimo, specie l’ultimo fatto l’anno scorso. La mia esperienza è positiva e quindi sono favorevole. Credo però sia fondamentale che l’insegnante sia preparato, abbia esperienza, non si può andare a corsi tenuti da autori che hanno scritto solo un libro o non abbiano un curriculum valido. Inoltre per me è fondamentale che il gruppo del corso sia omogeneo e che l’allievo arrivi con la giusta predisposizione d’animo.

Dei tuoi romanzi precedenti, ce n’è uno che prediligi e senti più tuo? Se sì, qual è?
“Rue de Castiglione” alias “Solo il tuo sapore”, il primo romanzo della serie Six Senses. Un romanzo con due titoli, proprio come me, una scrittrice con due nomi, uno più accattivante, l’altro meno.

Vuoi descrivercelo e parlarci delle emozioni che ti ha suscitato scriverlo?
Matteo, il protagonista di “Solo il tuo sapore”, è pieno di rabbia perché è stato tradito dalla donna che ama e dal suo mentore, uno chef di fama internazionale. Per realizzare il suo sogno sceglie di scendere a compromessi, ma non snatura se stesso, anzi, grazie ai nuovi amici che incontra ritrova quella parte di sé che aveva perso. Può sembrare assurdo, ma è un po’ la mia storia come scrittrice di romance. Ho avuto una brutta esperienza, mi sono sentita presa in giro, tradita e anche io sono scesa a compromessi scrivendo libri d’evasione, non più di riflessione. Scrivere “Rue de Castiglione” è stata un’esperienza catartica. Alla fine della prima stesura, mi sentivo libera dal rancore, pronta per ricominciare. Proprio come il protagonista. “Rue de Castiglione-Solo il tuo sapore” è stato liberatorio.

Hai partecipato a concorsi letterari? Li trovi utili a chi vuole emergere e farsi valere?
Ho partecipato a Io Scrittore, una bella esperienza, ma non la ripeterò. Non credo che i concorsi siano il modo migliore per farsi valere.

A cosa stai lavorando, ultimamente, e quando uscirà il tuo nuovo romanzo? Vuoi parlarcene?
Sto ultimando le correzioni di uno storico (ebbene sì, sperimenterò anche questo genere) che vorrei far uscire in self la prossima primavera. Il mese ancora non è certo, prima devo sentire il parere dei beta reader, poi fare l’editing e quindi si vedrà. Sto anche scrivendo di Cedric, uno dei personaggi della serie Six Senses che amo di più e per il quale ho grandi progetti.
Grazie per la bellissima intervista!

“Solo il tuo sapore” (Six Senses #1).
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“Solo la tua voce (Six Senses #2).
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