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Rumiko è un mistero nascosto in una confezione bellissima. Le ragazze la odiano; i ragazzi le sbavano dietro. Sam vuole entrare nella bolla che protegge la ragazza. Ci riuscirà?
Il brusio nella sala non era troppo alto. La mensa di acciaio, vetro e plastica d’autore rispecchiava lo stile delle persone sedute ai tavoli, riunite in gruppetti sparsi a condividere sorrisi, gesti rarefatti, follie adolescenziali contenute con attenzione. Niente di esagerato, come si conveniva allo status condiviso.
Quando la ragazza si alzò dirigendosi verso il corridoio, diversi sguardi si alzarono dai cellulari e dai conciliaboli per seguirla. Più brevi e aspri, anche solo per un istante, quelli delle ragazze, più lunghi e intenti quelli maschili. Lei veleggiò altera, i lunghi capelli neri a seguirla come un manto. Camminava… no, incedeva come se avesse il mondo ai suoi piedi. E spargeva invidia e lussuria dovunque passasse.
SMS di Ilaria a Samantha: The bitch è andata al bagno. Quanto scommetti che è François il cliente stavolta?
SMS di Samantha a Ilaria: François non ha consumato tutti i suoi soldi con te ieri? 😛
SMS di Ilaria a Samantha: stronza! A me dovrebbe pagarmi in brillanti!
SMS di Samantha a Ilaria: o in neve. :=)
A due tavoli di distanza le due si scambiarono un ghigno e continuarono a parlare con la persona che avevano di fronte. La ragazza aveva raggiunto l’angolo. Gli occhi a mandorla non si erano fissati su nessuno di quelli che avevano seguito la sua scia. Le labbra pallide erano socchiuse, l’espressione vuota.
Subito dopo la lama dell’angolo due ragazzi confabulavano vicini, ma al passaggio di lei uno si staccò e la raggiunse. «Rumiko, hai bisogno di qualcosa?» Sorrisetto ammiccante.
Lei si fermò davanti a lui, che le sbarrava la strada. Si limitò a guardarlo. Gli occhi neri non erano in attesa di nulla.
La mano di lui si allungò a toccarle i capelli: se li fece scivolare fra il pollice e l’indice, come seta. E il suo sguardo per un attimo si perse, dietro l’esperienza delle dita. Poi si riprese.
«Sicuro? Il bagno è qui. Ci vuole poco.»
L’altro ragazzo si aggiunse. «Facciamo una cosa a tre?»
«Vattene, coglione.» Il primo lo guardò con cattiveria.
«Ehi, stronzo, non te lo rubo mica il giocattolo!» Il secondo guardava la ragazza.
«Stai attento. Lo sai che se la innervosisci finisci col naso rotto?» Il tono si era mitigato. Ora entrambi la guardavano. Lei si limitò a girarsi e ad andarsene. Il secondo fece per trattenerla per il braccio, ma il primo lo fermò. Quando fu scomparsa nel bagno delle donne, gli spiegò.
«Non sto scherzando. Se le va, ti fa vedere il paradiso e puoi farle di tutto. Se no, ti sbatte contro il muro e ti fa nero. È cintura nera di qualcosa. Quindi, tu provaci, ma senza esagerare, non si sa mai come reagisce. Ah e poi: non parla. Mettilo in conto.»
«Davvero?» l’altro rise. «Ma cosa c’è di meglio?»
«Niente, appunto.»
Sogghignando se ne tornarono in sala.
Rumiko nel bagno si avvicinò al lavabo, si guardò allo specchio, ma distolse subito lo sguardo. Si lavò le mani e poi si guardò ancora. Si soffermò a spiare qualcosa negli occhi. Come se cercasse un barbaglio di luce, che le sembrava dovesse esserci, ma poi ci rinunciò. Si asciugò e uscì dal bagno.
Immediatamente fuori fu travolta da qualcosa che la sbatté contro il muro del corridoio con violenza. Finì per terra, ma bilanciò con le mani, che scattarono in basso per mediare l’impatto del coccige sul pavimento. Un energumeno che portava un enorme contenitore trasparente pieno d’acqua si voltò goffamente.
«Uh, mi scusi tan…»
«Che cosa diavolo fai?» Un altro tizio con la stessa tuta azzurra, più anziano, la raggiunse e l’aiutò ad alzarsi, apostrofando il primo. «Da oggi ti trovi un altro lavoro, ragazzo. Ma poi ne parliamo.»
Rumiko si liberò dalle mani che volevano sorreggerla e rimase lì un attimo, interdetta.
«Capo, mi spiace, io proprio non l’ho vista, sono mortificato!» Il ragazzo nemmeno si vedeva dietro la grande bolla che deformava i suoi lineamenti, ma la voce era densa di allarme: aveva davvero paura di perdere il lavoro.
«Vai adesso!» rispose perentorio il vecchio. «Ci scusi tanto, signorina, si è fatta male?» L’uomo, baffi e capelli grigi, era preoccupato e si guardava in giro, forse nel timore che altri avessero notato l’incidente.
Rumiko scosse la testa e se ne stette lì, ferma.
«Scusi ancora, con lui farò i conti dopo.» Il ragazzo guardava, alla svolta che portava alle cucine. Sembrava disperato. L’uomo fece per procedere, ma all’improvviso Rumiko si sporse e lo tirò per la manica. Quello si voltò e rimase a guardarla. Anche il ragazzo fece lo stesso, più lontano.
Lei socchiuse le labbra e cercò di parlare, ma all’inizio non ci riuscì. Una ruga d’espressione fiorì sul pallore della sua fronte. Si schiarì la voce.
«È… è stata tutta colpa mia» Due colpi di tosse. La voce era sottilissima, il vecchio si chinò per udirla. «Sono uscita dal bagno senza guardare. Lui non ha fatto niente di male.» Si guardava intorno, come se temesse che qualcun altro potesse sentirla. Non aveva nessuna inflessione.
«Va bene. Se lo dice lei, signorina…» L’uomo abbozzò una specie di inchino e precedette il ragazzo nelle cucine. Quello invece rimase a fissare Rumiko, con la bolla appoggiata al muro, perché l’aiutasse a sopportarne il peso. Si guardarono un po’, e lui accennò con le labbra «Grazie», prima di scomparire dietro l’angolo, al seguito del borbottio del suo capo.
«Ciao Sara!» Si era appena liberato del boccione e aveva dato quel tot di soddisfazione al suo capo, bastante perché lui finalmente si rivolgesse ad altro.
«Ciao Sam, come va il tuo lavoro?» La ragazza gli sorrise, continuando la propria mansione di bassa manovalanza ai fornelli.
«Va bene.» Il ragazzo si scompigliò il ciuffo chiaro che gli spioveva sulla fronte. «Soprattutto se riesco a tenermelo! »
«Smettila di toccarti i capelli, in cucina non si fa! E se lo chef ti scopre è me che licenzia!» Sam mise le mani a posto, come avrebbe fatto un ragazzino, con la faccia compunta. «Racconta su» continuò Sara, «che è successo là fuori? Ho sentito il tuo boss che bestemmiava!»
«Niente. Ho appena travolto una ragazza. Non l’avevo proprio vista! E lui quasi mi licenzia.» Sam abbassò la voce, assicurandosi con lo sguardo che il capo fosse ancora intento altrove. «Lei però gli ha detto che era stata colpa sua. È stata gentile. Sai, una ragazza orientale, con dei capelli neri lunghissimi…»
«Orientale?» Sara alzò gli occhi e interruppe quello che stava facendo. «Non è possibile. Rumiko. Ma non può essere lei: Rumiko non parla.»
«E sarà un’altra allora.» Sam alzò le spalle, scrutando Sara dall’alto.
«Ma dai! Quante orientali coi capelli lunghi fino al sedere che frequentino questa mensa conosci tu, qui a Milano?»
«Ma io non conosco proprio nessuna orientale, Sara. Veramente conosco giusto te. Lo sai che sono dieci giorni che sono arrivato in questa città enorme. Mostruosamente enorme.» Fece un sorriso mesto.
«Dai, sei una persona fortunata: tua zia è una persona meravigliosa a ospitarti, hai già un lavoro… d’accordo, se non lo perdi facendo cazzate, e adesso un’estranea ti ha appena aiutato. Ma… dimmi, davvero ha parlato? Che cosa ha detto? Com’era la sua voce?»
«Come mai tutte queste domande? Che ha di particolare quella ragazza? A parte che mi è parsa bellissima, per quel poco che l’ho vista.» Sam era appoggiato al muro, con le braccia conserte e scrutava la faccetta intelligente di Sara.
«Ti sembra bellissima, eh?» La ragazza si esibì in un’espressione saputa. «È vero. È molto bella, è una leggenda qui. Tutte le ragazze la odiano. Sai che vuol dire, tutte? La invidiano forse, non lo so. Perché tutti i maschi, e dico praticamente tutti, le vanno dietro.» La voce si abbassava man mano che l’argomento diventava caldo. «Ne parlano come di una puttana, non lo so però. Può darsi.» Fece una smorfia, asciugandosi le lacrime provocate dalle cipolle che stava affettando. «Certo lei non parla, non dà retta a nessuno e rimane qui. Nonostante sia sola e non abbia nessun amico. Perché gli stronzetti ricchi e odiosi che vengono a questa mensa» si guardò attorno un’altra volta «ne dicono di tutti i colori di lei. Io non lo so, forse è vero, ma comunque…» Lo chef si avvicinò un attimo all’angolo in cui lei lavorava e guardò con aria critica le cipolle tritate, poi si allontanò.
«Ma comunque?» Insistette Sam.
«Comunque, se ha rotto il suo silenzio per aiutarti, la mia stima per lei cresce. Se è una puttana non saprei dire, certo è una brava persona.» Gli fece un sorriso, e poi con una mano e l’espressione urgente gli fece intendere che doveva allontanarsi.
«Sara, insomma? Per questo pesto di cipolle una settimana dobbiamo aspettare?» L’accento siciliano dello chef accentuò il suo cipiglio iroso.
«È pronto, capo! Eccolo qui.» Con un sorriso di sghembo Sara si accomiatò da Sam. «Ciao Samuele» sussurrò, affrettandosi con le sue cipolle dietro all’ometto vestito di bianco.
Qualcuno gli afferrò la manica: il suo capo aveva finito quello che stava facendo e lo tirava via. Dal corridoio, sbirciò in quell’ambiente affollato, all’ora di pranzo, ma non vide nessuno di interessante. Magliette griffate, scarpe omologate, sguardi freddi, risatine stitiche. Con una smorfia di dispiacere si rassegnò a continuare la sua giornata di lavoro.
I tonfi sordi sul tatami si ripetevano a un ritmo musicale, come se quell’insieme di vesti bianche e di hakama che volavano in un alternarsi di bianchi e di neri fossero note musicali che si succedevano su un pentagramma. Un uomo alto atterrò attutendo la caduta del suo peso considerevole con un movimento sapiente del corpo. Chi lo aveva scaraventato in basso attese un attimo e poi rispose all’inchino di quello, che si era rialzato nello stesso fluido succedersi di eventi. Nel chinarsi, la coda si sciolse e un lungo svolgersi di capelli neri accompagnò la schiena. L’uomo la guardò con un’ammirazione repressa. Rumiko sorrise brevemente e si avvicinò a un vecchietto basso e magro che stava insegnando a un ragazzo come si poteva atterrare un avversario alto un metro e novanta senza sforzo apparente. Dopo poche parole sussurrate e l’inchino degli altri due, il maestro rivolse la sua attenzione a Rumiko. Lei si inchinò con la schiena rigida e risollevandosi attese.
«Sì, va bene, Rumiko, vai.» Lei abbassò il capo e lasciò il tatami, legandosi di nuovo i capelli. Il maestro la guardò allontanarsi. Un luccichio di commozione e dispiacere gli brillò da sotto le sopracciglia bianche.
La parete di vetro rivelava la notte punteggiata da luci, ma non erano stelle. Le finestre illuminate a centinaia di metri di distanza, le scie di luce delle auto che correvano chissà dove parevano movimenti distanti di nevrotiche nebulose. Distanti quanto le emozioni delle persone che si nascondevano in quei chiarori. Distanti, come le stelle vere, invisibili in tanto fracasso. L’appartamento era al buio. Ma la luce elettrica non avrebbe cambiato nulla, tutto era nero e bianco, come le pareti, come i mobili essenziali, squadrati, neutri.
Rumiko era a piedi nudi. La maglietta la copriva a stento. Il brivido dell’osservare non vista era già passato. Tutto passava, troppo presto. E il niente dilagava di nuovo. Si chiese perché mai non ci si potesse abituare all’assenza. Si girò un attimo a guardare la foto rovesciata sulla consolle: l’unico elemento fuori posto dell’intera casa. Anche se… casa era una parola eccessiva.
Le due persone dentro quella foto l’avrebbero chiamata così. Lei si chiese come sarebbe stato udire le loro voci, di là, in cucina. Non se le ricordava nemmeno più. Viveva sola da quanto? Rosita e Claire erano morte da due anni. Avevano voluto che lei fosse una minore emancipata poco prima del loro incidente. Chissà se l’avevano presentito. Se avevano saputo che quella decisione l’avrebbe salvata dalla trafila delle case famiglia, dell’adozione… Forse avevano ritenuto che essere stata la figlia di due donne, apolidi, manager in un mondo freddo di numeri, in quella Milano asettica degli affari, fosse abbastanza.
Arginò con facilità l’onda dei ricordi. Ormai era un gesto mentale meccanico. La gioia e le risate, le passeggiate e la televisione con la ciotola dei popcorn, tutte insieme sul divano, erano come un bel film visto in passato. Ciò che rimaneva era lei, in un appartamento vuoto. Si allontanò dalla parete di vetro. Si diresse allo specchio alto fino al soffitto, che rifletteva lei e quella casa, nella penombra di luci rifratte. Si guardò con attenzione. La mano percorse il corpo, sfiorò il seno, attraversò il ventre e giunse al pube. A occhi chiusi Rumiko cercò in se stessa una qualsiasi increspatura che le dicesse che voleva quello. Ma no. Non quella sera. E allora si avvicinò allo specchio, il vapore del suo respiro creò un alone e lei si guardò, ancora e ancora, come faceva sempre. Scrutava nei propri occhi e le pareva di vedere qualcosa, qualcuno, un passato, un’altra donna, con i suoi stessi occhi. Il lamento di un parto, la maledizione di un dolore, che indicasse una propria eventuale colpa. Lo sguardo di un uomo, il suo mento, i capelli dritti, un diniego, un’indifferenza.
Una volta sì, li aveva visti, l’uomo e la donna che l’avevano generata. In un sogno. Non si ricordava più se dormiva o no. Aveva provato a prendere droga per rievocare quell’immagine che forse proveniva da una memoria atavica, impossibile… ma aveva smesso. Il rischio di perdere la sua condizione privilegiata di ragazza sola e straricca, in mezzo a minorenni che si lamentavano continuamente dei propri genitori, era troppo forte. E poi lei doveva combattere.
Perché quelle persone sconosciute l’avevano ceduta a due donne, ricche, annoiate, che volevano giocare ad avere una famiglia? Una affermata designer di colore e una tostissima avvocata francese avevano questa bellissima bambina orientale. Erano addirittura finite su una rivista. La esibivano, sì, e la amavano, tanto. E il frutto era lei, ora lì, davanti a quello specchio a fissarsi gli occhi, in cerca di una risposta. In cerca di una qualsiasi forma di emozione. Le sue dita raggiunsero veloci il centro del piacere, e lei gettò la testa indietro, mordendosi le labbra. Violentandosi.
Quando entrava alla mensa, intorno a lei si creava un alone, e lei lo indossava come un’aura. Non le importava di nessuno, lì.
«Ciao.» All’inizio non distinse la traiettoria della parola. Fu il silenzio che seguì a metterla sull’avviso. Alzò gli occhi e tutti guardavano in una direzione, la seguì e trovò il ragazzo.
«Ciao» ripeté. «Posso mangiare con te, oggi?» Si incamminò accanto a lei, un po’ costernato per tutti quegli sguardi che lo sezionavano. «Ma cos’è? È vietato?» sussurrò e il silenzio si venò di risatine. Lei non si era fermata e lui la seguì. «Insomma, posso? Ti disturbo?» Erano già davanti alla pila di vassoi da prendere.
Rumiko lo guardò, una luce di stupore le si accese, in fondo in fondo al nero. Le labbra socchiuse non emisero alcun suono, ma la testa si inclinò e l’onda di capelli ne eseguì la vibrazione.
«Ok, allora!» Sam sorrise. E lei si fermò. «Che c’è?»
Lei lo guardava fisso. Una bolla si creò attorno a loro. La sua mano si alzò e quasi gli toccava il viso. C’era qualcosa lì, che lei poteva riconoscere, qualcosa che capiva di volere. Poi si riebbe, arrossì e si mosse per prelevare il vassoio. Un brusio si diffuse per la mensa. Risatine, sgomitamenti, sussurri. Sam non li notò nemmeno. Lei aveva preso il vassoio e, girandosi un attimo, gli aveva rivolto un sorriso. Il sorriso più caldo, luminoso e bello che lui avesse mai visto.
Antonella Albano, classe 1962, dopo la laurea in lettere classiche, lavora dapprima come correttrice di bozze e redattrice per alcune case editrici pugliesi, per poi approdare nella scuola come insegnante e dedicarsi, quando glielo consentono, alla didattica per adulti. Collabora dal 2010 con il blog letterario Diario di Pensieri Persi per il quale scrive articoli e recensioni; dal 2011 commenta settimanalmente gli episodi della serie sul sito The Vampire Diaries Italia. Nel 2013 ha pubblicato il saggio “Vampiri, supereroi e maghi. Metafore e percezione morale nella fiction fantastica”, per la casa editrice Aracne. Nel 2014 è uscito il suo primo romanzo “Io, Liam”, per la casa editrice Il Ciliegio. Nel 2015 viene parcheggiata presso ilmiolibro.it una raccolta di poesie “Sei mare”. Nel 2016, a febbraio, esce il suo secondo romanzo, “Amori e altri misteri”. Canta nel coro polifonico “Cantate Domino”.
Il sito personale: http://www.antonellaalbano.weebly.com/
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