Eccoci giunti a un nuovo martedì. Vi starete chiedendo per quale motivo io non stia approntando la solita scena di casa D’Ascani, con Marito che entra, Attila che imperversa, io che non faccio una mazza dalla mattina alla sera e invece preferisco filosofeggiare sui gusti di Matesi. Be’, oggi è il 21 marzo, e se per molti è semplicemente il primo giorno di primavera, per me rappresenta tanto altro.


Il 21 è il giorno in cui sono uscita per la prima volta a cena con quello che sarebbe diventato Marito (cioè, capite bene che bisogna festeggiare più questa data che quella di matrimonio… il poraccio sapeva a cosa andava incontro? Io non credo che lo abbia programmato fino in fondo), ma è anche il giorno in cui si celebra la giornata mondiale della sindrome di Down, spesso ricordata soltanto da Maria De Filippi per far sorridere il pubblico, o in terza serata su Rai3 che… chi vuoi che lo voglia vedere sul serio un reality con un gruppo di ragazzi down alle prese con il lavoro?

I calzini spaiati
di Roberta Ciuffi

Avendo io una sorella down potete comprendere che qui, in casa, questa giornata assume dei significati immensi, però io desidero riallacciarmi anche al discorso di Matesi, perché se lei non ama le ambientazioni dei primi del Novecento e a seguire, io invece credo che siano preziose e degne di maggiore attenzione.

Ci siamo dimenticati troppo in fretta che cosa ha portato all’emancipazione delle donne, alla rinascita di un Paese, al superamento del confine tra analfabetismo e cultura. Non abbiamo fatto caso minimamente al fatto che nel ‘78 sia stata emanata una legge per far chiudere tutti i manicomi, e che ben pochi l’abbiano rispettata. Se pensate che il Santa Maria della Pietà a Roma, attivo da ben cinque secoli, ha chiuso i battenti solo nel ’99 diventando un museo della memoria, potete farvene un’idea. Perché parlo di questo argomento? Perché le persone down, e tanti altri disabili, erano i frequentatori abituali di questi luoghi, e una volta chiusi lì dentro nessuno se ne preoccupava più. Diventavano figliastri dello Stato, e in quanto tali rifiuti.

Vi siete resi conto che non è cambiato nulla? Magari non c’è più chi li lega a un termosifone acceso (e non ne sarei più tanto sicura, dal momento che fin troppo spesso si ascoltano storie di mala sanità in tal senso), ma indubbiamente vivono ancora in un’epoca che rende loro la vita difficile. Ed è inutile che mi si venga a dire che non è vero, che adesso c’è molta sensibilizzazione e via discorrendo: non è così. I bambini autistici vengono ancora adesso additati come individui problematici e quindi esclusi da feste e addirittura gite scolastiche (per non parlare di quando diventano grandi e lo Stato dice che non è più un problema suo occuparsene); i bambini down vengono trattati come ragazzini di tre anni, spesso impiegati (anche a 18 anni) a fare cartelloni come quelli che disegnavamo alle elementari, mentre in America c’è chi addirittura si laurea.

I calzini spaiati
di Babette Brown

Vero, Matesi parla principalmente di romanzi rosa, di storie d’amore tra un uomo e una donna, ma mi dite voi che amore più grande ci potrebbe essere di quello che lega un individuo a uno più debole, che da solo non può farcela? La solidarietà, il senso di uguaglianza, non sono forse una forma d’amore immensa, capace di valicare confini e ostacoli? Eppure è più semplice chiudere gli occhi, far finta di non avere armi a disposizione per poter fare la differenza…

Giorni fa qualcuno mi ha accusato di parlare a vuoto, da dietro a uno schermo, con la tastiera in mano, senza fare nulla di concreto. Ci ho pensato, riflettuto, e mi sono detta che non è proprio così. E non perché ho una sorella down, non perché ho cercato di sensibilizzare tramite il mio lavoro di autrice le coscienze, ma perché se anche solo riesco a far cambiare la percezione a qualcuno, approfittando di questa platea virtuale, avrò fatto qualcosa di importante.

Si tende sempre a sottovalutare i problemi grandi, perché si è convinti di non avere mezzi altrettanto grandi per venirne a capo, eppure io credo che se ognuno facesse del proprio meglio per migliorare la qualità di vita di chi gli è accanto si starebbe molto meglio di così. Non ci sarebbero proposte di legge che spingono a considerare la sindrome di Down una malattia cronica alla stregua dell’artrite per non pagare la pensione di invalidità, per esempio, e non ci sarebbero finti ciechi e controlli, invece, su persone palesemente disabili. Nessuno lo permetterebbe, se tutti stessimo sul pezzo. Pensateci: tempo fa vi siete indignati tutti quanti quando la ragazzina di Roma è stata bruciata viva per strada e nessuno si è fermato, ma quanti si preoccupano del ragazzino disabile nella classe del proprio figlio? Quanti sarebbero disposti a entrare nell’associazione dietro casa per mettere al servizio comune un proprio talento? C’è chi lo fa, ma in quanti davvero?

I calzini spaiati
di Attila

Poco tempo fa cercavo una squadra di pallavolo perché mia sorella di quasi 18 anni potesse coronare il proprio sogno di giocare a questo sport (che poi lo dice a me che sono campata a Mila Atzuchi e Shiro nonmiricordocome). Non ho trovato niente, nessuno ha risposto all’inserzione che ho inviato all’associazione dilettantistica romana pallavolisti. Mi sono state mosse obiezioni delle più disparate che hanno evidenziato un’ignoranza di fondo dilagante, e anche preoccupante. Mi è stato chiesto se era un problema di assicurazione, perché i ragazzi down magari hanno qualche problema in più (qui si è ancora convinti che tutti i ragazzi down abbiano problemi al cuore, per dire…) o che da giocatore una persona poteva avere paura di farle male (chissà se hanno lo stesso pensiero quando guardano l’alzatore avversario…). Ah, e la cosa più bella è stato un padre che si è preoccupato del fatto che suo figlio, con un disabile in campo, non avrebbe potuto aspirare ad alcuna vittoria perché avrebbe avuto il classico peso morto cui badare.

Lo so, oggi non sono stata simpatica, non sono stata “romana”, ma Casa D’Ascani è anche questo perché di questo è fatta. Ah, e dato che siete ancora in tempo: oggi potete mettere un paio di calzini spaiati ai vostri figli, e anche a voi stessi. Ve lamentate sempre che non trovate i compagni… approfittatene: oggi si celebra così, questa grande giornata!
Perché siamo diversi, ma siamo uguali! 😉